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128 | la guerra | [1282] |
scacciati soltanto, spogli sì d’ogni cosa; e rifuggiansi questi a Messina1. Ma avrà eterna fama il caso di Guglielmo Porcelet, feudatario o governatore di Calatafimi, stato giusto ed umano tra lo iniquo sfrenamento de’ suoi. Nell’ora della vendetta e nei primi impeti, giunta a Calatafimi l’oste di Palermo, non che perdonar la vita a Guglielmo e ai suoi, lo confortò e onorò molto, e rimandollo in Provenza: il che mostri come il popolo degli eccessi suoi n’ha ben d’onde2.
A guadagnar Messina in questo mezzo ogni sforzo fu posto3, non essendo chi non vedesse l’importanza del sito, del porto, della grossa e opulenta città; nella quale stava il nodo della guerra; e necessità stringea di trarsela amica, o piombar tutti disperatamente su lei. Di Messina temeasi per le ruggini antiche; ma se ne sperava per essersi aperti gli animi nelle afflizioni recenti, ed anco per aver molti Messinesi in Palermo soggiorno, e cittadinanza, e appicco di commerci e parentele. Si die’ opera alle pratiche dunque; che delle private e più efficaci non è passata infino a noi la memoria; delle pubbliche ne resta una lettera data di Palermo il tredici aprile, che fu spacciata per messaggi, e incomincia: «Ai nobili cittadini dell’egregia Messina, sotto re Faraone schiavi nella polve e nel fango, i Palermitani salute, e riscossa dal servil giogo col braccio di libertà. E sorgi, dice l’epistola, sorgi o figliuola di Sionne, ripiglia l’antica fortezza.... abbian fine i lamenti che partoriscon dispregio; dà di piglio alle armi tue, l’arco e la faretra; sciogli i vincoli dal tuo collo;» e Carlo or va chiamando Nerone, lupo, lione, immane drago; e or volta