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[1282] | del vespro siciliano. | 123 |
l’arte soldatesca vincea; e sparpagliavansi i nostri: se non che entrò nella battaglia una potenza maggiore dell’arte, il furor del vespro, rinfiammatosi a un tratto nelle sparse turbe, che arrestansi, guardansi in viso: «Morte ai Francesi, morte ai Francesi!» e affrontatili con urto irresistibile, rincacciano nella rocca laceri e sgarati i vecchi guerrieri. Vana prova indi fu de’ Francesi a riparlar d’accordo. Sconoscendo tutta ragion di guerra, i giovani arcadori di Caccamo saettarono il giustiziere affacciatosi dalle mura; e lui caduto, avventossi la gente tutta all’assalto; occuparon la fortezza; trucidarono tutti i soldati; i cadaveri gittarono in pezzi ai cani e agli avvoltoi. Tornossi l’oste in Palermo1.
Intanto volando strepitosa la fama di terra in terra, fu prima in que’ contorni Corleone a levarsi, come principale di popolazione e importanza, e anco per cagion de’ molti lombardi nimici al nome angioino e guelfo2, e degli insoffribili aggravî che le avea portato la vicinanza de’ poderi del re. Questa città, soprannominata poi l’animosa, gittandosi certo con grande animo appresso alla capitale, mandavale oratori Guglielmo Basso, Guglielmo Corto, e Guigliono de Miraldo, ad offrir patti di unione, fedeltà e fratellanza tra le due cittadi; scambievole aiuto con arme, persone, e danaro; reciprocità de’ privilegi di cittadinanza, e della franchigia di tutte gravezze poste su i non cittadini. Ignoriamo or noi se venne da’ reggitori repubblicani di Palermo o dai patriotti di Corleone il pensiero della lega, ma a chiunque si debba, esso per certo dà a veder preponderante in que’ primi principî l’elemento municipale, e sostituito alla connessione feudale il legame federale