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prefazione. | v |
dee confondere con l’egoismo di municipio che dilaniò un tempo l’Italia; passione funesta, dileguata per sempre, io lo spero, insieme con l’ambizione di tirannide d’ogni popolo italiano sopra l’altro. Guardando il vespro da vicino, lo trovai più grande; si dileguarono la congiura e il tradimento; l’eccidio si presentò come cominciamento e non fine d’una rivoluzione; trovai l’importanza nella riforma degli ordini dello stato; nelle forze morali e sociali che la rivoluzione creò; nei valenti uomini che spinse per vent’anni tra i combattimenti e i negozi politici: vidi estendersi in altri reami, e perpetuarsi in Sicilia, e fors’anche nel resto d’Italia, gli effetti del vespro. Donde potea bene accendersi in me il severo zelo della verità istorica; e poteva io difendermi dall’inganno delle mie passioni nell’esame de’ fatti, ancorchè punto non mi sforzassi ad occultarle nelle parole.
Giovanni di Procida, per amor della patria e vendetta privata, si propone di toglier la Sicilia a Carlo d’Angiò; l’offre a Pietro re d’Aragona, che vantava su quella i dritti della moglie; cospira con Pietro, col papa, con l’imperatore di Costantinopoli, coi baroni siciliani: quando è in punto ogni cosa, i congiurati danno il segno; uccidono i Francesi; esaltan Pietro al trono di Sicilia. Tale è stata, poco più, poco meno, l’istoria del vespro siciliano: e sempre si è arrestata al caso del vespro, o tutto al più, alla mutazione di dinastia che ne seguiva. Per vero alcuni storici moderni, la più parte oltramontani, dubitarono d’una trama sì vasta, segreta, felice; ma non prendendo a investigare minutamente i fatti, perchè scorreano vastissimi tratti di storia, prevalse sempre quella credenza, ripetuta a gara da tutti gli altri storici, e da’ Siciliani soprattutto; e si continuò a fabbricare su la congiura.