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del vespro siciliano. |
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i suoi
casi: e la gente all’udirli, piangea di rabbia. In questo mezzo quanti
vengan da Napoli affermano essere al colmo l’ira del re, per quella
contumace ripugnanza alla guerra di Grecia, per quella missione al
papa; ch’ei volgerebbe l’adunato esercito contro la Sicilia; che
vorrebbe sterminar questa genia querula e incontentabile; dar la terra
ad altri abitatori, e farla colonia1. Queste voci spargeansi per
insensata iattanza di cortigiani, o tema di popol tiranneggiato; ed
eran se non altro misura dell’odio. Il quale, per comunanza di mali e
di brame, avea dileguato ogni ruggine tra le nostre città, tra le
famiglie, tra i vassalli e i siciliani feudatari. Pochi pel re
teneano; talchè accresceangli l’odio, non le forze. Il clero seguiva o
precorrea l’opinione pubblica; com’è manifesto dalla missione di
Bartolomeo e Bongiovanni, e dallo zelo con che andò in tutto il corso
della rivoluzione, ad onta delle infinite scomuniche papali. I nobili
siciliani, pochi e oppressi, non potendo far parte da sè medesimi,
ingrossavan la popolare: quanti eran complici, s’anco si voglia, di re
Pietro, ammalignavan le piaghe, suggeriano sommesso qualche speranza.
Il malcontento mise in un fascio le persone de’ governanti e i
principî del governo, e die’ alla parte popolare tal forza, tal
numero, che avanzava d’assai le condizioni ordinarie, e che sollevava
la Sicilia mezza feudale alle idee de’ più democratici popoli
italiani. Faceansi a ricordare i tempi del buon Guglielmo, tempi di
pace, e dovizie, e franchezze; a deplorare la svanita repubblica del
cinquantaquattro; e abbellito dall’immaginativa, con invidia a
dipingere il viver lieto delle italiane cittadi, senza re, senza
feudatari, senza Francesi. Nè solo travagliavali il martello di
povertà, e gli aggravî nell’avere e nelle persone, e ’l timore del
peggio; ma sopra tutto la gelosia delle donne, usurpate
- ↑
- Bart. de Neocastro, cap. 13.
- Nic. Speciale, lib. 1, cap. 3.