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[1281] | del vespro siciliano. | 107 |
vanto che gli stranieri non avesser dato il guasto impunemente alle campagne d’Italia: sclama al papa con veemenza: «Sdegna, o padre, l’Italia, sdegna le dominazioni straniere!» L’autore imbrattò questo nobil pensiero con l’arroganza tutta e la ferocia de’ Quiriti; com’ei mescolò alla giusta difesa della rivoluzione, l’apologia di orrori che dovea condannare; ma non men fortemente ciò prova che il sentimento latino era sparso in Italia1.
E che l’antagonismo di nazione fosse reciproco, e che fosse sentito in tutta l’Italia, si vede, tra cento altri fatti, dalle parole di Guglielmo l’Estendard, vicario di re Carlo in Roma; il quale, poco innanzi l’ottantadue, ascoltando un nobile romano che si lagnava della misera condizione della patria, non ebbe rossore a risponder preciso, squarciando il velo della tirannide: non credesse al fine che spiaceva al re veder consunto e dissipato quel popolo turbolento; Roma fatta una bicocca2. In quel medesimo tempo una rissa accesa in Orvieto tra Latini e Francesi, divenne tumulto; e vi si gridò morte ai Francesi; e Ranieri capitano della città, portato dagli umori di nazione più che da que’ dell’uficio, negossi con un pretesto dal racchetarla3. Non andò guari che in Forlì cadeano da due mila Francesi, o per una frode di guerra, o per una meditata vendetta, che non si sa bene, ma in ogni modo è manifesto l’odio più che di giusta guerra che portò questa strage; e le favole stesse che l’attribuirono a Guido Bonati astrologo e filosofo, mostrano in che bollore fosse l’opinione pubblica4. S’era insinuato l’odio di nazione già da gran tempo ne’ penetrali della corte di Roma, tra il contegno e la senile prudenza de’ fratelli del sacro collegio;