fu che nel
primo assedio di Messina, nella tempesta dello assalto universale che
dava l’esercito angioino, misto d’oltramontani e di abitatori del
reame di Napoli e d’altre province italiane, consigliò ai Messinesi di
risparmiar nei tiri le schiere italiane, che certo combatteano con
uguale riguardo. Veggiamo indi Pier d’Aragona cogliere l’util politico
della carità latina, e liberare i prigioni di questa nazione. Veggiamo
i popoli in Calabria e in Puglia sforzarsi per tanti anni a seguire la
rivoluzione siciliana. Nè ricorderò le parole degli altri scrittori,
che sono noti, e si allegheran sovente in appresso; ma, quelle della
rimostranza de’ Siciliani contro la prima bolla di papa Martino che li
ammonì a tornare sotto il giogo, sono sì opportune e significative,
che meritano special menzione. Perchè l’orgoglio del lignaggio
italiano anima e infoca tutta questa epistola, che s’indirizzava al
collegio de’ cardinali quasi fosse il senato di Roma. Gl’improvera il
favore dato ai Francesi contro gl’Italiani; mette a riscontro
distesamente i costumi delle due nazioni; incolpa gli stranieri del
loro clima, della barbarie delle nazioni vicine; e di libidine,
d’avarizia, d’ebbrezza, di crapula, d’ogni torto che aveano, d’ogni
torto che non aveano. Si compiace al contrario a ricordare la doppia
nobiltà del lignaggio d’Italia, che allude all’etrusco e al troiano, o
al romano e al greco; a notar la prudenza, il contegno, la prontezza
degli intelletti, la serenità de’ volti, e con aperto errore anche la
tolleranza degli animi italiani; chiama in aiuto Lucrezia, Virginio,
Scipione; motteggiando i Francesi perchè prendessero a imitare più
tosto le ispide genti del settentrione, che la civile moderazione e
libertà degl’Italiani; e mostrando che la sorte dà i regni, ma la
virtù li mantiene, e che più si guadagna con la saviezza che con la
forza. Questo scritto batte con una stessa sferza i governi angioini
di Sicilia, di Napoli, di Romagna; allude al vespro col