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[1281] | del vespro siciliano. | 105 |
nell’Italia del medio evo: ed era argomento ad alte speranze; perchè gl’Italiani si sentian cuore quanto gli altri popoli, e civiltà assai maggiore. I più vasti intelletti pertanto pensavano, che unite le forze dell’Italia, si sarebbe non solo racquistata l’indipendenza, ma fors’anco la gloria di Roma antica; e faceansi a sciorre il problema in vari modi. Niccolò III divisava quattro reami italiani; Dante, poco appresso, sospirava la ristorazione dell’impero romano sotto i re di sangue germanico; Niccolò di Rienzo, non guari dopo, intraprese la rigenerazione della repubblica in Campidoglio, e il Petrarca con maschio canto esaltava l’impresa. Nè mancò nell’universale il desiderio di quei grandi intelletti; che anzi s’era assai propagato a’ tempi della lega lombarda sotto il colore guelfo contro la schiatta tedesca; e tutto si volse contro la francese, quando Carlo d’Angiò la fece stanziare in Sicilia e Puglia, e in molte altre parti d’Italia, e diè luogo al contrasto de’ costumi, all’invidia dei privilegi, alla insolenza degli uni, alla intolleranza degli altri, alla superbia delle due genti venute a contatto. Cooperaronvi la resistenza misurata di Gregorio X, la passione di Niccolò III, e per contraria ragione l’ambizione di Carlo, la connivenza di papa Martino. S’accostava questo novello sentimento agli umori di parte ghibellina, tendea temporaneamente allo stesso scopo, ma in sè stesso era molto più grande, più nobile, più puro. Esso rapì Dante a parte guelfa; esso trovò un nome diverso dal ghibellino, come diversa era l’indole. Le due genti con antichi vocaboli si chiamavano i Latini e i Gallici; ed evocavano tutte le nimistà de’ tempi di Brenno, anche quando avveniva che si combattesse sotto una medesima bandiera guelfa, nelle relazioni politiche di tanti piccioli stati.
Spicca negli scritti siciliani, si vede manifestamente ne’ fatti di quel tempo, il sentimento nazionale latino. Esso