forse di furto, come in una elezione antecedente, recar fece
altre vivande ai cardinali francesi perchè stessero più forti a negare
il voto a quei di parte italiana1. Per queste arti, di febbraio
milledugentottantuno, Martino IV di nazione francese fu papa, o
ministro di Carlo. Congiunta dunque nel re la sua possanza, e la
smisurata del roman pastore, a grandi eventi si dava principio.
Divampò d’un subito in Italia la guelfa rabbia. Affidò il papa a
Francesi i governi tutti di Romagna; rifece Carlo senator di Roma; con
una crudele persecuzione de’ Ghibellini servì a sue ambizioni2.
Duro viso mostrava intanto a re Pietro. Come gli oratori di lui
veniano a complire per la esaltazione del papa, e sollecitavan la
canonizzazione di frate Ramondo da Pegnaforte, santo uomo spagnuolo,
gittando anco qualche parola su i dritti della Costanza al sicilian
reame, brusco replicava Martino: non isperasse il re d’Aragona mai
grazia alcuna dalla santa sede, se non pria soddisfattole il censo; il
quale la romana corte pretendea, interpretando per ligio omaggio la
pia peregrinazione d’un di quegli antichi principi a Roma3. Di lì a
poco, tentando nuov’arte, parve più dolce Martino. Mandò a Piero un
frate Jacopo dei predicatori, a richieder, tra autorevole e benigno,
contezza di quel sì occulto disegno; inibire ogni atto ostile contro
principi cristiani; contro infedeli profferire benedizioni e sussidi.
Ma chiuso, e pur non mendace, ringraziavalo Piero: pregasse il Cielo
per l’esito della guerra; lo scopo nol domandasse. «Tanto ho caro,
conchiudea, questo segreto, che se la mia manca il sapesse, con la
dritta la mozzerei.» All’ostinato silenzio crebber nella
- ↑ Saba Malaspina, lib. 6.
- ↑
- Chron. Mon. S. Bertini, in Martene e Durand, Thes. Anecd., tom. III, pag. 762.
- Saba Malaspina, cont., pag. 349, 351.
- Gio. Villani, lib. 7, cap. 58.
- ↑ Surita, Annali d’Aragona, lib. 4, cap. 13 e 16.