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90 | la guerra | [1277-81] |
si fecero in armi: e avvenne che Corrado, pria dell’altro che tanto dovea vantaggiarlo di gloria, ebbe nome, e segnalossi capitan di navi catalane, in fatti audacissimi sopra Saraceni1. Giovanni di Procida per altra via più combattuta venne in grazia al re d’Aragona. Nacque costui, o fu allevato in Salerno; ebbe alto stato appo l’imperator Federigo e Manfredi, e oltre il feudo di Procida molti beni allodiali in Salerno; fu medico assai riputato2; e tradusse dal greco in latino, o compilò in latino, le massime di filosofia morale degli antichi sapienti3. Narrano alcuni,
- ↑ Montaner, cap. 18, 19, 30, 31.
- ↑ Di Gregorio, Annotaz. alla Bibl. aragon., tom. 1, pag. 249 e 250.
Ved. altresì il Giannone, Ist. civ. e Buscemi. Vita di Giovanni di Procida, e i documenti da noi citati nel cap. XV, intorno i beni del Procida.
È noto il marmo della chiesa di Salerno, dato il 1260, pubblicato dal Summonte, e trascritto dal Gregorio, Bibl. arag., tom. I, pag. 249, dal quale si hanno i titoli di Giovanni di Procida, e ch’ei facesse costruire quel porto. Un altro pregevol monumento per Giovanni di Procida ha trovato il mio concittadino Francesco Saverio Cavallari, egregio artista, zelante e infaticabile nel ricercare, abilissimo nel delineare, e intelligente nello illustrare gli antichi monumenti d’arte, non solo per tutta la Sicilia, ma sì in parte della terraferma italiana. Nella cappella di san Matteo della cattedrale di Salerno, sotto la effigie del santo in mosaico, il nostro artista s’accorse di una picciola figura in ginocchio ch’ei ritrasse diligentemente, in pie’ della quale si leggono questi due versi:Hoc studiis magnis fecit pia cura Johannis
De Procida, dici meruitque gemma Salerni.A’ documenti fin qui pubblicati per dimostrare l’alto stato ch’ebbe Giovanni di Procida presso Manfredi, aggiugnerò la notizia d’un altro che si legge nel r. archivio di Napoli, reg. 1269, D, fog. 9. È un diploma di Carlo I dato il 22 giugno tredicesima Ind. (1270), nel quale se ne cita un di Manfredi del 25 agosto ottava Ind. (1265), dato per _Joannem de Procita_, e indirizzato a Risone Marra intorno l’uficio di maestro segreto e portulano di Sicilia. Questo diploma conferma che Giovanni fu cancelliere di re Manfredi.
- ↑ Ho veduto tra’ Mss. della Biblioteca reale di Francia, nel volume segnato 6,069. V. un manoscritto latino del secolo XIV che porta il titolo: _Incipit liber philosophorum moralium antiquorum et dicta seu castigationes Sedechie, prout inferius continetur, quas transtulit de greco in latinum magister Johannes de Procida_. È una raccolta o compendio delle massime che correano sotto i nomi di Sedecia, Hermes, Omero, Solone, Pitagora, Diogene, Socrate, Platone, Aristotile, Alessandro, Tolomeo, Gregorio, ec., e finisce con un capitolo, intitolato _Sapientium dicta_. Io la credo piuttosto una compilazione che una traduzione. Il titolo di _magister_ mi accerta della identità della persona dell’autore col nostro G. di Procida, il quale non par che guadagni in fama letteraria quanto ha perduto in fama politica. È qui da ricordare qual fosse la corte di Federigo imperatore e di Manfredi. Federigo, educato fin dalla sua fanciullezza in Sicilia era perito negli idiomi tedesco, francese, latino, greco, arabo; poetò in volgare; amò gli studi filosofici; dettò un opuscolo di storia naturale; e promosse gli studi in tutta l’Italia. A lui forse si deve il pronto sviluppo della lingua illustre d’Italia. Manfredi fece alcune aggiunte al libro di Federigo, scrisse versi italiani, favorì molto i letterati e gli studi. Sul particolare delle lettere greche e dello studio de’ filosofi greci, noi sappiamo che Bartolomeo di Messina per comando dell’imperatore voltò dal greco in latino l’etica d’Aristotile, e un libro su la cura de’ cavalli, e che Moisè da Palermo nello stesso tempo scrisse una somigliante traduzione d’un libro d’Ippocrate. Veg. Tiraboschi, Stor. lett. d’Italia, tom. IV; di Gregorio, Discorsi. Dopo ciò si comprendrà più facilmente come Giovanni di Procida fosse avviato a questi studi; e senza dubbio si riferirà al ministro di Federigo, di Manfredi e di Pietro e Giacomo d’Aragona la citata raccolta di sentenze degli antichi filosofi.