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cosa sul conto mio; imperocchè lo strale della calunnia si è sopratutto appuntato sulla povera mia persona, volendosi forse colpire in me le gloriose gesta di Roma del 1849.

E che questa ritrosia sia in me naturale, lo prova il fatto incontrovertibile che in così lunghi anni di una vita avventurosa, nella quale la forza delle circostanze mi fece spesso occupare delle alte e responsabili posizioni, io non abbia mai parlato, nè fatto parlare di me, quantunque presso alcuni io sia spesso passato pel più furente demagogo, e presso altri poco meno che per un rinnegato. Io mi acquietava al differente giudizio, trovandone la spiegazione nella mia indipendenza di carattere, e nel destino di tutti coloro i quali lodano la virtù e vituperano il vizio, facendo astrazione se siano i correligionarii o gli avversarii politici, che si rendano degni dell’una o biasimevoli per l’altro.

Non tenendo mai a calcolo ciò che altri potesse credere sul conto mio, io ho sempre limitato, fin dalla prima giovinezza, il modesto scopo della mia vita all’abolizione del governo temporale del Papa ed alla causa dell’unità del nostro Paese, senza la quale — è ormai un fatto che non ha bisogno di prove — l’Italia sarebbe stata sempre mancipio dello straniero.

Ho la coscenza di non essermi mai dipartito di una linea da queste due grandi idee, e di averle sempre seguite:

1° con una scrupolosa onestà di carattere;

2° senza ambizione di sorta;

3° mosso unicamente dal forte sentimento del dovere cui il cittadino deve sentire per la Patria.

In quanto alla onestà di carattere, io ho la rara fortuna di non doverne addurre alcuna prova; e mi basta di fare appello a tutti i miei concittadini, neri, bianchi e rossi; ai miei compagni di sventura nel Castello S. An-