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quasi tutt’i provinciali benestanti, erano quelle della via Fiorentini, dei Guantai e della Corsea.

Le concessioni ferroviarie per le grandi linee di Puglia, di Calabria e di Abruzzo, date da Ferdinando II nel 1855 e 1856, erano rimaste, come si è veduto, lettera morta. Francesco II ebbe in animo di accrescere le strade ferrate, accelerando i lavori in corso e costruendo la linea di Puglia, ma non ne ebbe il tempo. Egli ricordava bene le peripezie dell’ultimo viaggio in quelle provincie. Alcune concessioni nuove furon fatte soltanto nel breve e fortunoso periodo costituzionale. Tra le linee regie e quelle della società francese Bayard, concessionaria della Napoli-Portici, e che aveva spinte le sue rotaie fino a Castellamare da una parte, a Nocera e a Vietri dall’altra, il Regno d’Italia trovò nel Napoletano soli 226 chilometri di ferrovia, compresi quelli che furono aperti all’esercizio nel 1861. Il Piemonte e la Lombardia ne avevano in esercizio oltre mille e cinquecento e parecchie centinaia in costruzione. Se cominciarono più tardi, non si arrestarono così presto. La Sicilia, come si è detto, non aveva un chilometro solo di strada ferrata.

Il primo riordinamento delle ferrovie napoletane fu compiuto nel 1861 dall’ingegnere Ettore Alvino, che ebbe a suoi efficaci collaboratori due giovani intelligenti e coraggiosi, Francesco Martorelli e Alzimiro Lion. Tutt’e due, dopo avere studiata ingegneria all’Università, presero le armi nel 1860, e terminata la campagna, entrarono nell’amministrazione delle ferrovie; e il Martorelli, che i suoi amici chiamano ancora Checchino, fu più tardi un pezzo grosso nelle strade ferrate italiane. Quando il Grandis nel 1862 venne incaricato dal governo di consegnare le ferrovie napoletane alla società delle Romane, ebbe a maravigliarsi dell’opera riformatrice, che l’Alvino e i suoi collaboratori vi avevano compiuta in poco tempo.

Sindaco della città di Napoli era, dalla fine del 1867, il principe d’Alessandria, che lasciò fama di abile amministratore e fu consigliere comunale nel 1888 e nel 1889. Ferdinando II, seguendo la tradizione di porre a capo della città di Napoli patrizi napoletani non più doviziosi, lo aveva chiamato, dopo alcuni mesi d’interregno, a succedere a don Antonio Carafa di Noja. Il sindaco durava in ufficio tre anni, ma poteva essere confermato, e il Carafa aveva avute tre conferme. Nel 1866, il Re lo