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rata. Si esercitava principalmente sulle forniture. Un posto alla strada ferrata era il maggior premio, al quale potesse aspirare chi se ne sentiva degno, per meriti più o meno confessabili. Si sapeva che il magazziniere B. era protetto da quel generale e il capofficina C. da quella dama o camerista. Limite ai posti, nessuno; una parvenza di organici lasciava la porta aperta a una quantità rispettabile di soprannumeri e, oltre a questi, vi erano gli aspiranti al soprannumerato, i quali non avevano stipendio e dovevano quindi accomodarsi alla meglio: lo stipendio, per quelli che n’erano provveduti, era affatto ridevole. Curiosa amministrazione, dico, nella quale non si sognava neppure che potesse esservi un qualunque rapporto fra l’entrata e la spesa.

I biglietti ferroviari erano di carta colorata comune e di forma più grande degli attuali, di colori differenti, secondo le classi. Ricordo bene il giallo, il rosso e il bianco e ho sotto gli occhi un orario dei mesi di settembre e ottobre dell’anno, di cui ragiono, trovato fra le carte di mio padre, che passò quei mesi per motivi di salute in Torre del Greco. Quell’orario è della dimensione di un foglio quadrato di venti centimetri, scritto da una parte e dall’altra, con avvisi e annotazioni circa le tariffe per bagagli e piccoli oggetti. Sono curiosi alcuni avvisi. Alle persone di giacca e coppola, alle donne senza cappello, ai domestici in livrea, ai soldati e bassi uffiziali, si accordavano ribassi sulla terza classe, e ciò al fine d’impedire che cenciosi o sporcaccioni viaggiassero in ferrovia. Così da Portici a Napoli le persone di giacca e coppola pagavano in terza classe cinque grani, cioè un grano di meno. Il fine si raggiungeva in gran parte, perchè, se la differenza di terza classe fra Napoli e Portici era di un grano, da Napoli a Torre del Greco era di quattro; a Torre Annunziata, di otto; a Castellamare, di dieci; a Pompei e Scafati, di dodici e così via via.

Chi veniva dalle provincie prendeva il vapore, come allora si diceva, a poca distanza da Napoli: i calabresi e i basilischi, a Nocera; i pugliesi e gli avellinesi, a Nola; gli abruzzesi, a Capua, e i salernitani, a Sarno e a Nocera. Per i pugliesi era piuttosto un impaccio che un comodo, e però molti preferivano smontare con la stessa carrozza che li aveva condotti, direttamente a Porta Capuana, cioè all’ingresso di Napoli, o partire in carrozza dalle proprie locande, le quali per i pugliesi e per