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terrotte, languidissime. Si restringevano a qualche rapporto isolato di viaggiatori oltramontani, nonostante gli sforzi del Gerhavel da Roma per riaprire questo campo della scienza. Quasi si rimpiangevano i tempi (1830-1840) di Enrico Guglielmo Schultz, il quale teneva al corrente delle scoperte antiquarie napoletane i tedeschi dell’Istituto di Roma; nè avea potuto ancora aversi l’opera magistrale di lui, assai aspettata, sui monumenti dell’arte del Medio Evo nell’Italia meridionale, che non fu publicata prima del 1860 a Dresda, dopo la sua morte, e che riusci tanto più ricca di quella dell’Huillard-Brécholles, edita a spese del munificentissimo duca di Luines nel 1843. Innanzi a’ primi nuovi rapporti di Brunn su Pompei, il campo dell’archeologia a Napoli era tenuto dal Garrucci, dal Guidobaldi, dal Quaranta, dal Finati, dal Minervini, l’ultimo de’ quali, come ho detto, esercitava col suo Bullettino quasi un monopolio, per quanto le pubblicazioni di esso avvenissero sempre con ritardi e con interruzioni di mesi e, qualche volta, di un anno intero! E se le scoperte relative alla gente osca avevano trovato in Giuseppe Colucci un acuto e dotto illustratore, se il Mommsen traeva partito dagli scavi del 1857-58 a Pietrabbondante per riconoscere il Bovianum vetus, né queste ne altre ricerche del grande epigrafista su gli avanzi messapici scuotevano il torpore degli studii antiquarii e filologici nel Napoletano.


Ma l’opera veramente grandiosa, alla quale si lavorava in quell’anno, era il prosciugamento del lago Fucino. I primi lavori del famoso acquedotto Claudiano risalivano al 1823, ed il merito di avere finalmente indotto il governo napoletano a tentarli, spettava a Carlo Afan de Rivera, direttore generale dei ponti e strade, il Paleocapa dell’Italia meridionale. Assai lo avevano coadiuvato nell’esecuzione, Luigi Giura, che ne fu il direttore speciale e quel Marino Massari, ingegnere capo della provincia di Aquila e padre di Giuseppe Massari, che ebbe il coraggio, nell’ottobre 1829, di percorrere in un battello per 844 metri l’antico emissario mezzo rovinato e rigurgitante di acqua. Malgrado però questi precedenti di non antica epoca, la gloria di aver dato alla gigantesca opera le proporzioni magnifiche, che poi ebbe, e di averla affidata ad un’amministrazione tecnica e finanziaria di prim’ordine, spetta al principe Alessandro Torlo-