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di Siracusa. Egli vi andava con la sua nota cotêrie elegante, e col Fiorelli, che n’era il segretario e la magna pars, e nel biennio 1855-56 vi tornò non meno di quattro volte. Nei due anni seguenti le gite della Corte e de’ principi esteri si fecero più rade; durante il 1857 vi andarono il Re di Baviera, il principe d’Orange e quelli di Joinville; a’ 18 settembre vi tornò sempre con la famiglia reale Ferdinando II, e questa fu per lui l’ultima gita alla monumentale necropoli. Sul finire del 1858 vi si recarono i duchi di Modena ed il principe Alberto di Prussia. E mentre la Corte stava a Bari per la malattia del Re, tornarono a Pompei gli arciduchi di Austria. L’ultimo principe di casa Borbone che la rivide, fu il conte di Siracusa nel giorno 19 settembre 1859, e lungamente si fermò quella mattina nella casa del Citarista.
Durante l’anno 1860 i lavori a Pompei tacquero affatto. Si trasandarono persino le riparazioni ordinarie. Solo a’ 20 di dicembre, fra insolita attività di centinaia di operai, in prossimità del tempietto d’Iside e delle nuove terme, ricominciarono le nuove ricerche, quelle che assicurarono le sorti avvenire della storica necropoli, che acquisirono alla scienza non dimenticabili scoperte e dettero fama europea a Giuseppe Fiorelli.
Sopraintendente degli scavi di Pompei e del Museo di Napoli sin dal 1851 era Domenico Spinelli, principe di San Giorgio. L’avo suo era stato vittima dei sanfedisti nel novantanove. Nel mondo ufficiale passava per uomo dotto in numismatica, ma nella società si susurrava che la nota opera apparsa sotto il suo nome intorno alle monete cufiche non fosse tutta farina del suo sacco. Attorno allo Spinelli vi erano don Bernardo Quaranta, Giambattista Finati e Stanislao d’Aloe. Dell’amministrazione del Museo facevano anche parte Fausto e Felice Niccolini, che pubblicarono una grande opera su Pompei, splendida più per lusso di carta e di disegni, che per valore archeologico. Nè bisogna dimenticare don Giulio Minervini, finito anche male. Dirigeva gli scavi pompeiani l’architetto Genovese, capo locale del personale era don Raffaele Campanelli, e soprastante capo don Antonio Imparato. A guardare la necropoli avevano messo i Veterani; libero ne era l’ingresso; ma il più gran disordine regnava nel personale, e i visitatori soggiacevano a richieste petulanti e indecorose di mancia continue.