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to, ma con l’obbligo di denunziare alla commissione di vigilanza il nome e l’indirizzo degli studenti ascritti (solo i giovani laureati furono esclusi da questo obbligo); di pagare dieci carlini l’anno e di far lezione con l’uscio aperto.
I professori di diritto e quelli di lettere italiane e latine non subivano alcun esame; ma gli altri obblighi erano comuni. Il padre Cercià, gesuita, aveva studio di diritto canonico; Luigi Palmieri, il padre Balsamo, don Agostino de Carlo e don Felice Toscano, di filosofia; e il Palmieri era così facile di parola, che i suoi uditori gli avevano affibbiato quest’epigramma, che egli parlasse prima di pensare a quel che doveva dire. Tucci e De Angelis avevano la scuola di matematica più frequentata; e, dopo loro, il Cua e Achille Sannia. Bruto Fabricatore e l’abate Lamanna, puristi della vecchia scuola, insegnavano grammatica e lettere, e il Lamanna aveva fra i suoi scolari Diego Colamarino e Rocco Zerbi, che chiamava:
Spiritello di fiamma vivida e pura.
Don Giuseppe Lamanna era canonico e filologo, camminava sulle orme del Puoti, accentuandone le esagerazioni puriste e aggiungendovi delle sdolcinature ridicole. Insegnava, per esempio, che una lettera dovesse chiudersi cosi: mi vi professo ed accomando. Il marchese di Caccavone lo avea in uggia e lo flagellò con questo epigramma, ch’è uno dei più arguti, usciti dalla penna mordace di lui:
Al canonico don Giuseppe Lamanna |
Era molto accreditato l’istituto Borselli, dove insegnavano Tommaso Arabia, Federico Persico, Antonio Galasso, Antonio