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le regole dell’Ordine Costantiniano, che prescrivevano doversi portare, non sospesa al collo ma all’occhiello, la croce dell’Ordine, mettendo così fine all’abuso che ne facevano i cavalieri. Aggiunse alla Società reale borbonica un posto per l’incisione, e vi nominò l’Aloysio Juvara e compì un altro atto lodevole, istituendo a Torre del Greco una scuola nautica.


Il 5 novembre, fu inaugurato con maggior pompa il nuovo anno scolastico all’Università. Professori e studenti andarono al Gesù Vecchio, per assistere alla messa dello Spirito Santo, che doveva precedere la cerimonia. Il parroco, padre Ibello, incuorò i professori ad insegnare una scienza cristiana, specialmente ora, egli disse, che le aberrazioni di malsicure dottrine minacciano di divenire sempre più infeste. L’allusione era troppo diretta, per non essere compresa da studenti e da maestri. L’Università brillò, in quell’anno, di vita insolita. Vi furono istituite quattro nuove cattedre nella facoltà di giurisprudenza, e parve nuova anche quella di diritto penale, la quale, dopo la morte del Nicolini, era rimasta vacante ed a coprirla fu chiamato l’esimio magistrato Sante Roberti. Le altre cattedre furon quelle di diritto amministrativo, data al Murena; di economia sociale (non politica) data al Bianchini, e di diritto internazionale privato, data al Rocco. Murena lesse una prolusione enfatica e zeppa di citazioni, e Bianchini, una serie di lezioni a pochi discepoli, i quali si maravigliavano che il professore leggesse sempre le sue lezioni, e non ne improvvisasse mai una. Era il Bianchi uomo di modi gentili, lento e solenne, e anche sulla cattedra cupido di vanità. Egli, citando il celebre economista francese Say, lo chiamava Sei, dando luogo a vivaci motteggi da parte della scolaresca. La cattedra del Rocco era la più frequentata, ma non in maniera, che il concorso della studentesca potesse paragonarsi agli affollamenti di oggi, molto babilonici e meno profittevoli.

Fiorentissimi in quell’anno furono, invece, gli studii privati. Quelli più in voga, erano gli studii di diritto di Francesco Pepere, di Enrico Pessina, di Luigi Capuano, di Filippo de Biasio, di Raffaele Fioretti e di Luigi Zumbani. Pepere cominciava le sue lezioni nelle prime ore della mattina, e, d’inverno, la sala non ampia e affollata era debolmente rischiarata