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era partito per Napoli con la prima corsa, accompagnandovi il colonnello Ludovico Frapolli, mandato a prendere possesso degli ufficii telegrafici. L’Atenolfi, che poi fu deputato ed oggi è senatore del Regno, accompagnò il Frapolii da Liborio Romano, il quale rispose che non aveva alcun potere per consegnare al Frapolii il servizio telegrafico dello Stato; ma saputosi che Garibaldi arrivava a mezzogiorno, il Frapolii, accompagnato sempre dall’Atenolfi, andò all’ufficio centrale dei telegrafi, che era a San Giacomo, e, senza tanti complimenti, ne prese possesso in nome del dittatore.

A Cava, Garibaldi giunse alle 11. Impossibile descrivere l’ultima tappa di quel viaggio. Garibaldi, D’Alessandria, De Sauget, Cosenz, Di Lorenzo, Civita, Bertani, Nullo, Missori, Rendina, Gusmaroli, Ferrante, il padre Pantaleo in abito francescano, con fascia tricolore, pistole e sciabola; Mario, Canzio, Stagnetta, gli ufficiali della guardia nazionale di Napoli, Luigi de Monte, Francesco Ferrara ed Eugenio Assanti, l’inglese Peard, Niccola Mignogna e Pietro Lacava: ecco tutto l’esercito e il seguito del dittatore. Presero posto confusamente in due saloni e in altre carrozze, e si partì con treno speciale, anzi specialissimo, che procedeva lento fra due muraglie umane, dalle quali partivano grida di febbrile commozione. A Cava seguì una scena curiosa. Tutte le donne, vecchie e giovani, vollero baciare Garibaldi sulle guance, e il generale lo permise. A Nocera quel capostazione fece passare l’ultimo treno di cacciatori bavaresi della retroguardia nei magazzini di deposito, per far passare il treno trionfale della rivoluzione. Garibaldi, richiesto dove volesse alloggiare a Napoli, rispose: “io vado dove vogliono; solo desidero, appena arrivato, di visitar San Gennaro„. Dopo Portici, il treno si fermò bruscamente. Tutti si affacciarono agli sportelli, per vedere che cos’era, e videro un ufficiale di marina che s’avanzava, correndo e gridando: “Dov’è Garibaldi?„ Garibaldi rispose: “Dev’essere il capitano del ’“Calatafimi„, lo facciano venire„. Appena giunto, il capitano, che non era quello del “Calatafimi„, ansante per la corsa fatta, disse al dittatore: “Lei dove va? È impossibile ch’entri in Napoli; vi sono i cannoni dei borbonici puntati contro la stazione„. E Garibaldi, tranquillo: “Ma che cannoni; quando il popolo accoglie in questo modo, non vi son cannoni; avanti„. Il capitano non osò dire altro, nè si