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diuvata dal cardinal arcivescovo Sisto Riario Sforza, il quale pregava il Re di non mutare Napoli in un campo di eccidio, e di non arrecar danno alle tante chiese e ai cent’ottanta monasteri della città.


La mattina del 6 settembre, il Re chiamò Spinelli e partecipatogli che aveva deciso di ritirarsi con l’esercito fra Capua e Gaeta, gli ordinò di scrivere un proclama di addio ai napoletani. Licenziato Spinelli, il Re usci dalla Reggia in un legnetto scoperto, insieme con la Regina e due gentiluomini. Non appariva impensierito; mentre la Regina sembrava ilare, e discorreva con vivacità ora con lui e ora con i due gentiluomini. I passanti si levavano il cappello, e i Sovrani rispondevano cortesemente ai rispettosi saluti. Non vi furono però evviva, nè dimostrazioni, nè clamori. In via di Chiaja, proprio sul principio, dovettero fermarsi per un ingombro di vetture e di carri. In una delle prime botteghe sotto la Foresteria, oggi prefettura, stava allora la farmacia reale Ignone, la quale aveva sull’insegna i gigli borbonici, ed il cui esercente era stato un noto e furioso borbonico. Una scala, poggiata all’insegna, impediva il transito delle vetture. Il Re si fermò e vide che alcuni operai, saliti sulla scala, staccavano dalla tabella i gigli; additò con la mano a Maria Sofia la prudente operazione del farmacista, e nessuno dei due se ne mostrò commosso, anzi ne risero insieme. Molto più commosso di loro fu il duca di Sandonato, che in quel momento passava di là e vide tutto. Il duca racconta la dolorosa impressione che egli provò, assistendo a quella scena. A mezzogiorno i Sovrani tornarono alla Reggia.

Dal tocco alle due, Francesco II ricevette i dodici capibattaglione della guardia nazionale, con alla testa il nuovo comandante De Sauget e il sindaco. Comunicò loro la sua risoluzione di lasciare la capitale, perchè, egli disse: il vostro .... e nostro don Peppino è alle porte; li ringraziò per aver mantenuto l’ordine in Napoli; loro raccomandò di fare altrettanto nella sua assenza, la quale riteneva brevissima, e disse infine, che aveva mantenuta la promessa loro fatta il 26 agosto, di non dare mai ordini di danneggiare la città. Parlò commosso, cercando a stento le parole. Alle quattro ci fu Consiglio di Stato. Il Re annunciò ufficialmente, che si recherebbe dove chiamavalo la difesa de’ suoi legittimi diritti. I ministri e i direttori presentarono alla firma