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torio Emmanuele per le Marche, verso il Regno: marcia compiuta tra le maraviglie dell’Europa liberale, e una specie di pauroso stupore dell’Europa reazionaria. Tra due fortezze ben agguerrite e con milizie fedeli, poteva Francesco II opporre salda e lunga resistenza: con una sola sconfitta il prestigio di Garibaldi sarebbe finito e finito con esso il prestigio della rivoluzione. Avveduto consiglio, che si disse mandato dall’Austria e dal Lamoricière, e che il Re, alla fine, decise di seguire, ma senza farlo ancora intravedere ai suoi ministri.

Nella notte dal 3 al 4 settembre, egli mandò a chiamare d’urgenza il direttore delle finanze Carlo de Cesare, il quale, dopo la partenza del Manna per Torino, funzionava da ministro, e dopo avergli detto che era deciso di abbandonare con l’esercito la capitale, per muovere contro Garibaldi, soggiunse essere assolutamente necessario provvedersi del danaro occorrente per oltre la quindicina. Il De Cesare rispose che non gli era possibile secondare tali desiderii, prima che spirasse la decade. Il Re replicò che bisognava in ogni caso provvedere, ricorrendo alle casse del Banco; ma il De Cesare replicò che, reggendo lui il ministero delle finanze, non lo avrebbe mai consentito, essendo i depositi ’privati una cosa sacra; ad ogni modo, ove il Re credesse diversamente, poteva bene esonerarlo dall’ufficio. Francesco II tornò a insistere, ma il direttore tenne fermo. Il Re lo licenziò dopo averlo presentato alla Regina, che conversava con alcuni uffiziali. Uscito dalla Reggia, il De Cesare si recò dal Ciccarelli, reggente del Banco e lo avverti a trovarsi d’aocordo con lui, ove il Re persistesse nel pensiero di chiedere i depositi privati. Ma il Re non vi persistette.


Garibaldi passò la giornata del 31 agosto a Rogliano, in casa Morelli, e vi dettò due decreti: con uno aboliva la tassa sul macinato per tutte le granaglie, tranne per il frumento, e riduceva il prezzo del sale; e con l’altro concedeva ai poveri, gratuitamente, gli usi di pascolo e di sementa nelle terre demaniali della Sila. Passò la notte seguente a Cosenza e ne riparti il primo settembre, accompagnato da non più di trenta persone, fra ufficiali e guide. Ricordo, tra gli altri, Enrico Cosenz che non lo lasciò più sino a Napoli; Thürr, Corte, Caldesi, Avezzana, Musolino, Nullo, Mordini, Missori, Serafini, e due giornalisti, che