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l'azione, ombroso e collerico, ma nell’insieme, non privo di soldatesca sincerità. Passarono così alcuni giorni, sino a che, nella notte dal 30 al 31, si seppe l’inconcepibile sbandamento di Soveria, e lo incedere trionfante della rivoluzione in Calabria e in Basilicata. I generali non credettero più di sicura riuscita il disegno di Pianell, perdettero la bussola anche loro, e di altro non si parlò che di tradimenti, di oro piemontese e di causa disperata. Una nuova spedizione di truppe in Calabria fu creduta inutile. Gli ordini erano stati dati, ma proprio nel momento dell’imbarco giunse il contrordine, provocato dalle solite esagerazioni, che Garibaldi, dopo lo sbandamento di Soveria, marciasse, senz’altri ostacoli, su Napoli, e vi potesse arrivare da un momento all’altro.
Il Re mostravasi calmo, come persona che mediti qualche nuovo disegno. La regina Maria Sofia, più risoluta, accettava senza discuterlo qualunque piano di azione, e insisteva che il Re si mettesse a capo dell’esercito, offrendosi di seguirlo. Francesco II assisteva passivamente ai consigli dei generali; ma questi non venivano, in maggioranza, ad altra conclusione che non fosse la loro sfiducia nell’esercito e nel ministro della guerra; che anzi il Bosco, promosso da poco a generale, arrogante quanto loquace, perchè si era battuto con valore in Sicilia, criticava senza mistero il piano del ministro e osservava che, uscendo il Re da Napoli, vi sarebbe scoppiata la rivoluzione e il Re si sarebbe trovato fra due fuochi. Queste critiche ed osservazioni del Bosco riuscivano assai gradite al Re, il quale usava molto familiarmente con lui e lo chiamava Ferdinandino. Ischitella, che vedeva Francesco II tutt’i giorni, contribuiva con le sue esagerazioni e contraddizioni, a confondergli la testa. Egli consigliava bensì un’azione vigorosa col Re a capo dell’esercito, ma sconsigliava di lasciar Napoli. Ed il Pianell, allora, visto che le sue proposte non venivano accolte e che il Re non si decideva a nulla, e visto dall’altro lato che Garibaldi e la rivoluzione si avanzavano senz’altro ostacolo, manifestò a Spinelli il proposito di dimettersi da ministro e da generale, e lasciar Napoli.
Le incertezze del Re contribuivano a rendere più difficile l’opera dei ministri, i quali, eccetto il Romano, erano profondamente inquieti. Il presidente del Consiglio, che aveva accettato il governo, come il compimento di un sacro dovere, appa-