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sità, da una parte; egoismi e viltà, dall’altra. Ma io non scrivo la storia politica di quel tempo, e solo ne raccolgo alcune memorie intime, cercando di star lontano dalla politica il più che posso, sebbene il breve regno di Francesco II sia stato politico, dal principio alla fine. Solo Filangieri ebbe l’intuito della situazione, ma egli non era libero, come non libero era il Sovrano; non concordi i suoi consiglieri intimi, non tutti sinceri, nè i sinceri erano i più illuminati. Francesco inclinava a governare come suo padre, ma capiva che i tempi non erano gli stessi, e si lasciava guidare, un po’ dai ministri, i quali andarono in quindici mesi da Ferdinando Troja a Liborio Romano, e più, da un piccolo gruppo di Corte, che il generale Filangieri chiamava per celia gli strateghi, e che erano Latour, Nunziante, Del Re, Sangro e Ferrari; e poi, a intervalli, dalla matrigna, dal confessore e dal padre Borrelli, i quali ne paralizzavano la debole volontà, alimentando sospetti contro questi e contro quelli, e rendendo più invincibili le naturali perplessità sue. Il più sincero era di certo il padre Borrelli, e il più intelligente l’ammiraglio Del Re, che aveva faccia bonaria e distinta, e pareva un inglese quando vestiva la sua bella divisa. Essendo egli un uomo di studii, la sua influenza sul Re, al quale restò fedelissimo, fu molto limitata e non mai funesta. Al giovane Re non difettava un certo acume, ma il suo spirito era fatalistico e timido; e questa timidezza o fatalismo, uniti a un senso di misticismo trasfusogli nel sangue dalla madre e degenerato in napoletana bigotteria, che si manifestava nella paura puerile di peccare e in una certa noncuranza per le vanità del mondo, spiegano la sua sincera e quasi non umana rassegnazione alla perdita del trono, e l’indulgenza verso tutti coloro che lo avevano abbandonato o mal servito.
Riferirò un aneddoto. In uno dei primi giorni del suo regno, si trovò in conferenza col De Liguoro, direttore del ministero delle finanze, il quale gli faceva alcune proposte. Erano seduti entrambi innanzi ad una tavola, la quale, ad un tratto, cominciò a vacillare. Il De Liguoro girava gli occhi intorno, per vedere donde venisse il movimento. Accortosene il Re, gli disse: “Bada che sono io che mi agito e fo’ agitare la tavola: questo è cattivo segno, perchè vuol dire che avrò poca vita„. E rispondendogli il De Liguoro che tali pensieri dovevano essere allontanati, perchè