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governo provvisorio, composto dei cittadini Salvatore Rampone, Giuseppe de Marco, Domenico Mutarelli, Niccola Vessichelli, marchese Giovanni de Simone, Gennaro Collenea„.


Appena questo decreto fu sottoscritto, Giuseppe de Marco, che aveva gran seguito in quei luoghi e fu benemerito della causa liberale, capovolse il ritratto di Pio IX, che pendeva da una parete della stanza dov’erano; e Martorelli e Cassola vi posero innanzi due baionette incrociate. È rimasto celebre, tra i superstiti della “legione„ del Matese, un motto del Turiello, grave e solenne anche allora, che era quasi ventenne. Uscendo la compagnia da Piedimonte, abbattè gli stemmi borbonici nel primo paesello per il quale passò; e, compiuto l’atto rivoluzionario, Turiello uscì gravemente in queste parole: “Ed ora, o signori, siamo fucilabili„. Il moto rivoluzionario di Benevento, se non ebbe importanza intrinseca, contribuì forse a far abbandonare il piano di difesa proposto da Pianell, di attendere Garibaldi fra Eboli, Salerno e Avellino. In uno degli ultimi consigli di guerra, preseduto dal Re stesso, il Von-Mechel manifestò il timore, che, attuandosi quel piano, potesse l’esercito essere tagliato fuori dalla ritirata sopra Capua per opera delle colonne rivoluzionarie del Beneventano. Però nè il Von-Mechel, nè il governo avevano un’idea esatta di quelle compagnie, le quali erano quattro in tutto, e non arrivavano a mille uomini male armati e tutti nuovi alle armi.

A rendere più generale il movimento, contribuiva il basso clero in Calabria e in Basilicata. Preti e frati gettavano l’abito e vestivano la camicia rossa; e cingendosi di un gran nastro tricolore il cappello, si creavano cappellani delle squadre insurrezionali, o predicatori nelle piazze. Si distinguevano gli Ordini mendicanti e i preti delle chiese ricettizie, o quelli che non facevano parte di capitolo e avevano abbracciato il sacerdozio per crearsi uno stato. In Calabria, specie in provincia di Cosenza, parecchi cleri, ed anche alcune comunità monastiche si mescolarono in mossa al movimento.1 Era una generale frenesia, e i documenti di quell’epoca non si rileggono senza maraviglia, mista a tenerezza. Quanta fede, quanta audacia, quanta non-

  1. Vedi: Una famiglia di patrioti, di R. de Cesare. — Roma, Forzani, 1889.