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glieva gl’insorti di Forenza, Acerenza, Mascheto, Palmira e Spinazzola: in tutto, 286 uomini, dei quali trenta erano spinazzolesi, giunti a Genzano la sera del 17 agosto, sotto il comando di Vincenzo Agostinacchio. La colonna di Avigliano raccoglieva volontari di Avigliano, Ruoti e Rionero. Col capitano Castagna, che comandava i quattrocento gendarmi della provincia, da lui raccolti a Potenza, dove il 12 agosto era giunto il nuovo intendente Cataldo Nitti, avevano iniziate pratiche per una capitolazione Giovanni Giura ed Emilio Petruccelli, ufficiali della guardia nazionale. Il Castagna aveva loro risposto: “Io non deporrò le armi; “se gli insorti saranno in tal numero, che io non possa affrontarli con la certezza di batterli e disperderli, mi ritirerò; ma in caso opposto li attaccherò, essendo questo il mio dovere; in ogni caso risparmierò la città„. Gl’insorti, dei quali parlava il Castagna e che si riteneva sarebbero i primi arrivati a Potenza, la mattina del 18, dalla parte opposta a quella donde si attendevano gl’insorti di Corleto, erano le colonne del Mennuni e del Mancusi.

Il Castagna era dunque sull’avviso da parecchi giorni; e poichè correvano voci inquietanti per la città, e da un momento all’altro si attendevano gl’insorti, si era dapprima rifiutato all’invito del procuratore generale, Michelangelo de Cesare, oggi senatore del Regno, di mandare a Matera dei gendarmi per ristabilirvi l’ordine, dopo la carneficina dell’otto agosto. E fu solo più tardi, che pentito del rifiuto, e spinto da nuove insistenze, del De Cesare, ne spedi una quarantina con un tenente. E fu provvidenziale, perchè pochi giorni dopo, in quella città, dove era rimasto il vecchio sottointendente Frisicchio, si fu a un punto di veder rinnovate le scene di sangue, potute evitare anche mercè l’opera del ricevitore distrettuale, barone De Flugy, giovane elegante e animoso, il quale corse dal sottointendente e chiamò responsabili lui e l’ufficiale dei gendarmi di quanto poteva accadere. Nè il Frisicchio nè l’ufficiale erano disposti a far nulla, e probabilmente una seconda carneficina avrebbe insanguinata Matera; ma le coraggiose parole del De Flugy indussero quei due a disporre che i gendarmi, divisi in drappelli, sciogliessero i gruppi di contadini minacciosi e, arrestandone alcuni, riuscissero a mantenere l’ordine. Il De Flugy, figliuolo del generale, vive tuttora, ed. è il padre Romarico de Flugy d’Aspermont, abate generale della Congregazione Cassinese della primitiva osservanza.