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di affrettare gli avvenimenti, inevitabili pur troppo, ma che li attende„. E in verità, lo sfacelo irreparabile, che invadeva tutti i rami dell’amministrazione, e che l’opera dei due Comitati aiutava in tutt’i modi, e nel tempo stesso lo sbarco di Garibaldi a Melito e le sue prime fortune; l’azione palese e risoluta del Piemonte; la condotta della famiglia reale rispetto al Re e lo sbandamento dell’esercito erano tutti segni chiarissimi che si era alla vigilia della catastrofe. Ma ancora si aveva fede in una resistenza nelle Calabrie, dov’erano più di ventimila uomini, tra Bagnara, Monteleone e Cosenza, con un maresciallo in capo e cinque generali.


La sera di quello stesso giorno 29, vi fu grande allarme in Napoli e la città fu tutta corsa da pattuglie di cavalleria e fanteria. Benchè si succedessero i bollettini delle vittorie di Garibaldi in Calabria, pubblicati dai fogli liberali a lettera di scattola, correva voce e allarmava tutti, che il governo avesse sequestrati nella strada di Santa Teresa a Chiaja molte armi, le quali dovevano servire al partito reazionario, per tentare un ultimo e decisivo colpo in Napoli. E veramente la polizia sequestrò quella notte alcuni revolvera, nonchè quarantamila copie di un proclama che i giornali si affrettarono a pubblicare, inneggiando a don Liborio, come a salvatore della patria. Il proclama diceva:


Sire!

Quando la patria è in pericolo, il Popolo ha diritto di domandare al suo Re di difenderlo, perchè i Re son fatti per i Popoli, e non i Popoli per i Re. Noi dobbiamo loro ubbidire, ma essi debbono sapere difenderci; e per questo Iddio loro ha dato uno scettro ed una spada.

Oggi, o Sire, il nemico è alle nostre porte; la Patria è in pericolo. Da quattro mesi, un avventuriere, alla testa di bande reclutate in tutte le nazioni, ha invaso il Regno, ed ha fatto scorrere il sangue dei nostri fratelli. Il tradimento di alcuni miserabili l’ha aiutato; una diplomazia più miserabile ancora, l’ha secondato nelle sue colpevoli intraprese. Fra giorni, questo avventuriere c’imporrà il suo giogo odioso, perchè, i suoi disegni li conosciamo tutti, e Voi ancora, o Sire. Quest’uomo, d’altronde, non ne fa alcun mistero: sotto pretesto di unificare quel che non è stato mai unito, egli vuole farci Piemontesi, per meglio scattolicarci e quindi stabilire un governo repubblicano sotto l’odiosa Dittatura di un Mazzini di cui sarà egli anche il braccio e la spada.

Ma, Sire, noi siamo napoletani da secoli: Carlo II, Vostro immortale bisavolo, ci tolse per l’ultima volta dal pesante giogo straniero. Noi vo-