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Fosse patriottismo estemporaneo, o volgare egoismo, o febbre rivoluzionaria che tutti invadeva, anche col pericolo della propria vita, o effetto delle sue tradizioni antidinastiche e dei ricordi di Caracciolo e di Murat; o fossero tutte queste cose riunite insieme, certo è, che sulla marina da guerra, fin dal giorno che Garibaldi sbarcò a Marsala, Francesco II non potè più contare. Data la Costituzione, la marina fu perduta alla dinastia dei Borboni. Il comandante del Capri, Marino Caracciolo, scriveva a Persano di attendere i suoi ordini per inalberare la bandiera nazionale, che poi inalberò, andando, dopo l’entrata di Garibaldi a Napoli, a conquistare il forte di Baia, il cui comandante, al Caracciolo, che gl’intimava la resa in nomo del Dittatore ricusò di arrendersi, dicendogli: “A qualunque altro si; a voi, no„. Gli ufficiali superiori Vitagliano, Burone e Scrugli, invitati a prestar servizio, si rifugiarono sulla Maria Adelaide, e non ne scesero che dopo l’entrata di Garibaldi.

Pochi rimasero fedeli alla causa del Re. Ricordo, tra questi, il Lettieri e il Pasca, i quali andarono a Gaeta. Il Pasca, che comandava la Partenope, si distinse nella difesa della fortezza e fu uno dei tre ufficiali superiori, che, per la piazza di Gaeta, sottoscrissero la capitolazione. Egli ebbe grado di “generale della Real Marina„, ed è morto di recente. Altri ufficiali, tra i quali il Ruggiero, il Bargagli, il Rivera, il Flores, il Vergara, il Carbonelli, il Bracco, il Rocco, ancora giovani, non vollero entrare nella marina nazionale; e i più vecchi, ammiragli o capitani di vascello, Garofalo, Palumbo, Mollo, Lavia, Capecelatro, Miceli, Marin, Iauoh, Cossovich si ritirarono volontariamente dal servizio.

Fra le varie interpretazioni, date per spiegare lo squagliamento della marina, vi fu quella che l’armata napoletana fosse tutta ascritta alla massoneria. Ma non è vero. I massoni erano ben pochi, e solo ostentava di esserlo il conte d’Aquila, grande ammiraglio, il quale portava un anello al dito, e facendone mostra nei giorni del suo liberalismo, lasciava intendere che egli era liberale e frammassone. Non fu dunque la dissoluzione della marina opera di setta o di denaro, nè proposito deliberato di tradimento; fu effetto dell’ambiente, come si direbbe oggi, ossia di quella generale frenesia, per cui tutto venne manomesso ed offeso da parte di tanti, i quali avevano giurata fede ai Borboni, e che al giuramento credevano non venir meno, passando nelle