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tava l’avvocatura con discreta fortuna, era intimo di Romano e non moriva di tenerezza per i Borboni. Fu prefetto di polizia sino agli 8 settembre e poi consigliere della Corte dei conti.
A Napoli erano divenuti tutti liberali, con questa sola differenza, come si è detto, che i borbonici erano costituzionali, e i vecchi liberali, tutti unitarii con Casa di Savoia. Il ministero era con costoro d’accordo solo nell’invocare e prendere misure di rigore contro i reazionari, veri o supposti, delle provincie; contra i vescovi e contro gl’impiegati del vecchio regime. Però il Comando della piazza di Napoli era come sottratto al ministero, perchè aveva una specie di giurisdizione propria, e comandava, occorrendo, alla guardia nazionale. Da quel Comando partivano ordini di perquisizioni e anche di arresti, all’insaputa del ministero; e il giorno 23 agosto, per ordine di detto Comando, venti guardie nazionali del primo battaglione, e un plotone di cacciatori della guardia reale, col comandante di piazza in persona e un giudice, procedettero alla perquisizione in casa del noto liberale calabrese, Salvatore Correa, al palazzo Cirella. La perquisizione riusci infruttuosa: il comandante del primo battaglione, facendone rapporto al ministro dell’interno, osservava, che “tali visite essendo state replicate volte eseguite, e sempre collo stesso risultato, non fanno molto favorevole impressione nello spirito della Guardia Nazionale, tuttochè la disciplina farà sempre ciecamente obbedire i comandi che potranno venire dal comando della Real Piazza„. Il comandante del primo battaglione era Achille di Lorenzo, succeduto al barone Gallotti, dimissionario. Nell’agosto, dei capi della guardia nazionale, cioè di quei primi capibattaglione, che avevano firmato nel luglio il magniloquente e comico indirizzo a don Liborio, rimaneva il solo Domenico Ferrante. I nuovi erano: Achille di Lorenzo, Gioacchino Barone, Francesco Caravita di Sirignano, il marchese di Monterosso, Raffaele Martinez, il marchesa di Casanova, Paolo Confalone, Michele Praus, il marchese Paolo Ulloa, il duca d’Accadia e Giovanni Wonviller, anzi Giovannino Wonviller, come lo chiamavano gli amici. Allora era giovane, elegante, galante, uno dei lions alla moda.
Con gli animi così agitati, le voci più balorde trovavano credito, e le paure più puerili erano all’ordine del giorno. Il 16 agosto, una pattuglia di truppa regolare s’incontrò al largo