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giosa, nell’alto mondo militare, ma nessuno gli dava retta. Con parole ispirate apriva nel Lampo una pubblica sottoscrizione, per cittadini funerali all’anima benedetta di Guglielmo Pepe. Le esequie furono celebrate, la mattina dell’otto agosto, nella chiesa dei Fiorentini, e riuscirono solenni per concorso di liberali, di tutti gli esuli, di popolani mutilati a Marghera, e del conte di Siracusa, che vi assistette, in compagnia di Giuseppe Fiorelli. Ma il prefetto di polizia non permise che fosse esposta nella chiesa l’epigrafe scritta da Antonio Ranieri, che era questa:


ITALIANI DI NAPOLI

IN QUESTO TEMPIO SI FANNO SOLENNI FUNERALI

A GUGLIELMO PEPE

SOLDATO GENERALE E MARTIRE

ED EROE SEMPRE

DIFESE NEL LXXXXIX VIGLIENA NEL XLIX VENEZIA

E FORTE DI QUELLA FEDE CHE TRIONFA DI TUTTO

INCARNÒ TANTO IL NOME SUO IN QUELLO D'ITALIA

CHE TORNERÀ SPONTANEO SOPRA OGNI LABBRO

QUANDO IL PENSIERO DI VII SECOLI

SARÀ COMPIUTO


NACQUE IN ISQUILLACE A DÌ XXIII DI FEBBRAIO MDCOLXXXIII

MORÌ IN TORINO A DÌ VIII AGOSTO MDCCCLV


Finita la messa, tutti, uscendo dalla chiesa, ruppero nel grido: Viva l’Italia. In tale ambiente, si può immaginare quale effetto potevano produrre queste enigmatiche parole, che il nuovo prefetto di polizia, Giuseppe Bardari, pubblicò in un suo proclama del 20 agosto: “E pertanto, egli diceva, lealtà per lealtà! Pronto io ai sacrifizi e alle spine delle funzioni che mi sono affidate, sarà tutta dei miei concittadini la gloria se nel tempo che mi sarà dato sostenerle, potrò, mercè il concorso delle loro virtù, compirle con alcuna lode„. Parole, parole, parole! Il Bardari era calabrese; nella prima gioventù era stato amico di Michele Bello, fucilato nel 1847 a Reggio e aveva scritto dei melodrammi, tra i quali la Maria Stuarda, musicata dal Donizetti; fu giudice regio a Monteleone nel 1848, e per la parte presa nei rivolgimenti di Calabria, dopo il 15 maggio, fu destituito e processato. A Napoli eserci-