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poli. Il Comitato mandò Gennaro de Filippo a Messina, per assicurare il dittatore che sul continente, tutto si disponeva secondo il suo desiderio di quei giorni: fare, cioè, insorgere le provincie prima del suo sbarco in Calabria. Il Comitato d’Azione venne su quando il Comitato dell’Ordine, rifatto il 9 luglio, dopo il ritorno degli esuli, assunse un contegno decisamente cavurriano, onde per reazione si accentuò garibaldino, con una tinta di mazziniano e di municipale. Lo fondarono e ne furono la mag- giore forza Giuseppe Libertini, Giuseppe Ricciardi, Filippo Agresti, Niccola Mignogna, nonchè Giacinto Albini e Giuseppe Lazzaro. Pietro Lacava restò come tratto d’unione fra i due Comitati, che si trovavano però d’accordo nel promuovere l’insurrezione nelle provincie prima dello sbarco di Garibaldi; e poichè la provincia, la quale si assicurava meglio apparecchiata ad insorgere, e dalla quale si chiedevano capi militari e civili, era la Basilicata, il Comitato dell’Ordine fece partire per Corleto, dove aveva sede un Comitato insurrezionale, il colonnello Cammillo Boldoni e Pietro Lacava, ai quali si unirono il Mignogna e l’Albini del Comitato d’Azione. Il Mignogna era stato dei Mille, e Garibaldi lo aveva inviato sul continente per affrettarvi l’insurrezione, con Giuseppe Pace, Domenico Damis, Ferdinando Bianchi e Francesco Stocco. Gli altri quattro restarono in Calabria, dove furono utilissimi all’insurrezione: Pace e Damis, nel circondario di Castrovillari; Bianchi in quello di Cosenza e Stocco in provincia di Catanzaro, dove pure si era costituito un Comitato insurrezionale il 24 agosto, che proclamò la rivoluzione, e il 26 indisse il plebiscito per la nomina dei prodittatori.

Il maggior pericolo per le istituzioni lo rappresentava il Comitato dell’Ordine, che aveva più seguito e più credito a Napoli e nelle provincie, disponeva di molti mezzi ed era in diretta relazione con Cavour, coi suoi agenti di Napoli, con Villamarina e, dopo il 3 agosto, con Persano. Non era possibile che il ministero mostrasse più oltre di non vedere, e fu deciso di dare qualche esempio di energia. Giacchi chiamò Spaventa e De Filippo, e col suo fare paterno, loro fece intendere che, seguitando a condursi in quel modo, il governo si sarebbe trovato nella dolorosa necessità di arrestarli e allontanarli da Napoli. Spaventa rispose che non prometteva nulla: poche settimane ancora, aggiunse, e la rivoluzione sarebbe compiuta; ma Giacchi tornò a raccomandargli calma e prudenza, confortando le sue parole con mas-