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regno dei giusti sulla terra, del regno imperituro dei cieli, caparra promessa e desiderata.

A questi fondamenti affidate le nostre sorti, esse non possono pericolare.

Ma non possiam neppur torcere lo sguardo da una trista esperienza, la quale e’ insegna non far tanto di bene dieci buoni vescovi, che più. non possa far di male un solo cattivo. Il che se per tutti è vero, molto è più vero per noi, i quali viviamo in un paese uscito pur ora da un sistema governativo assurdo sopra tutti, in cui non poca parte si ebbe l’episcopato spesso della legge di carità mal ricordevole, al punto di farsi, se non sempre strumento, certo laudatore, e nelle coscienze dei semplici ed ignoranti strenuo difenditore della maggior tirannide che mai ci fusse. In questo stato di cose m’è forza chiamare l’attenzione di V. E. sul contegno che alcuni vescovi, certo non quelli del Vangelo, serbano a riguardo de’ rinnovellati ordini costituzionali, contegno non evangelico, non civile, pieno di scandali, funestissimo alla cosa pubblica, per la Chiesa stessa fonte di discredito e di disamore, se sopra le persone non stessero le cose e le promesse infallibili del divin Redentore.

Un fatto ho da segnalare a V. E. quasi universale, e che in modi più o meno espressi si ripete, in presso che tutte le diocesi del Regno; ed è che i Vescovi si scuoprono, generalmente parlando, avversi al nuovo ordine di cose. Solamente ci ha differenza nel modo, che alcuni fanno allo Statuto una Qpposizione quasi direi passiva, non consentendo che si svolga con quelle libertà ed in quella larga maniera, che si richiede a voler che porti frutti degni della maturità dei tempi in che siamo. Altri poi, più vivo contrasto facendogli, e quasi la divisa vestendo di congiuratori, dimentichi ad un tempo e dell’ufficio sacerdotale e del debito di cittadini, colla parola che è possente sulle loro labbra, e con atti scopertamente ostili, si fanno centri di reazione, e gli onesti liberali inducono a pensieri che non ebber mai, togliendo forza al Governo, ed il paese ponendo in sullo sdrucciolo di cadere nell’anarchia. Costoro, Eccellentissimo Signore, non vogliono essere più a lungo tollerati, senza richiamarli al dover loro di pastori e di cittadini. Ed io, che molti potrei additarne, per ora ne addito questi pochi, che più degli altri, per pubblici fatti, vennero in fama di non buoni coltivatori della vigna del Signore.

Il vescovo d’Ariano1 ha dovuto fuggire dalla sua sede. Egli dirà forse che il lupo entrò nel gregge e disperse pecore e pastore; ma il lupo sono essi i cattivi pastori, che il gregge ribellano alla pastoral verga. Né perchè manchi il vescovo, sappiamo che nella diocesi d’Ariano la religione abbia sofferto danno o detrimento alcuno. Ciò vuol dire, quello che è pur di fede, che alla Chiesa, se i suoi pastori l’abbandonino, non venne, ne mai verrà meno l’assistenza dell’invisibile uni versai Pastore.

Ma se questo è vero, non sarà men certo che ripetendosi fatti di tanta gravità, la morale pubblica, e la disciplina della Chiesa debba patirne non poco. Sarebbe uno scandalo da non potersi mettere in dubbio, ed è debito di quelli, che seggono al timone dello Stato, il fare che non avvenga.


  1. Si ricordi ch’era monsignor Caputo, il preteso avvelenatore di Ferdinando II.