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suete salve e l’illuminazione dei pubblici edifìci e dei teatri. A questa letizia ufficiale non rispose la letizia pubblica, perchè, mentre da una parte il Comitato dell’Ordine consigliava ed imponeva di accogliere la Costituzione con freddezza, dall’altra parte, nella stessa giornata del 26, scoppiarono i primi tumulti a Napoli, contro la polizia e divennero gravissimi il 27. Furono aggredite e ferite alcune pattuglie di feroci; investiti i commissariati di polizia; manomessi gli archivi!; bruciate le carte; ucciso un odiato spione; feriti alcuni commissarii e ispettori, e compiuti non pochi atti di saccheggio a danno di privati, soprattutto nei quartieri bassi, per cui molti negozi si chiusero, molti forestieri fuggirono e molti cittadini ripararono nelle città vicine. Alle 8 della sera del 26, ci fu di peggio. Mentre il ministro Brenier usciva nella sua carrozza dal palazzo del Nunzio, fu malamente percosso due volte sul capo con mazza di ferro, e ferito; nè mai si seppe l’autore e meno ancora, lo istigatore dell’aggressione, la quale destò indignazione e paura ad un tempo. Il Re mandò subito al palazzo della legazione francese i suoi due aiutanti Ischitella e Sangro, a chiedere notizie e ad esprimere il suo rammarico per quanto era avvenuto; il conte d’Aquila vi tornò due volte, trattenendovisi sino alle due e mezzo della mattina; i vecchi e i nuovi ministri mandarono o portarono le condoglianze; e un indirizzo, sottoscritto da parecchi cittadini, manifestò l’indignazione dei napoletani per l’ignobile attentato.

L’attentato a Brenier fu creduto dai liberali opera della reazione, poichè egli era stato uno dei più insistenti sollecitatori della Costituzione. Su denunzia non si sa di chi, il prefetto Romano fece imprigionare i fratelli Manetta, che avevano fama di incorreggibili reazionari e di gente audace e manesca, ritenendoli addirittura gli autori del triste fatto. Il processo fu istruito dallo stesso presidente della Gran Corte criminale, Ezio Ginnari. Nessuna prova però si potè raccogliere, nonostante una circolare rimasta famosa, con la quale il detto presidente invitava gli Eletti ad indicare i nomi dei più noti camorristi delle varie sezioni, per chiamarli a deporre sul fatto. Del resto, quando Brenier, caduti i Borboni, lasciò Napoli, mandò una lettera ufficiale al Pisanelli, guardasigilli della dittatura, proclamando l’innocenza dei Manetta e reclamandone la liberazione. Nondimeno il nuovo procuratore generale De Falco emise il suo atto