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preconizzato ministro della guerra, accettarono. Andarono poi da don Liborio Romano, che abitava al palazzo Salza, ora Bagnara, alla Riviera, designato come prefetto di polizia. Il Romano nelle sue Memorie accenna a questa visita notturna, senza però dire, che gli fu fatta dal conte d’Aquila, qualche giorno prima dell’Atto Sovrano. Don Liborio era a letto; ricevè i visitatori in veste da camera, e accettò, con palese compiacenza, il posto offertogli, e che ottenne difatti.
Il conte di Trapani, informato delle pratiche del conte d’Aquila, non lo accompagnò però in queste gite notturne, ma stabilì col fratello di recarsi l’indomani a Portici, dov’era il Re, per proporgli l’Atto Sovrano. Ma, il domani, seppero che il principe di Cassaro, presidente del Consiglio, avvertito di quanto meditavano i due principi, aveva deciso, per istigazione della Regina madre, di farli arrestare al ponte della Maddalena. Chiesero ed ottennero una carrozza della legazione francese, e insieme con loro vi salirono l’Aymé e il marchese Troiano Folgore, colonnello di marina. Mossero verso Portici, la sera. Al ponte della Maddalena la polizia fermò la carrozza, ma l’Aymé dichiarò che apparteneva alla legazione di Francia, e protestando contro ogni possibile offesa, ottenne di proseguire. Videro subito il Re, che si dichiarò contrario a qualunque mutamento; ma quando i due zii gli ripetettero le esplicite assicurazioni del Brenier, aggiungendo, come prova, il fatto di essere là andati nella carrozza della legazione francese, ed insieme al segretario di questa, egli ne parve scosso e lasciò sperare una risoluzione diversa. In tutto questo racconto c’è del verosimile, ma manca sinora la base storica.
La promulgazione dell’Atto Sovrano, da farsi il 24 giugno, fu decisa in un Consiglio straordinario di Stato e di famiglia, che ebbe luogo a Portici, il 21 di quel mese, dopo il ritorno del De Martino da Parigi, e con l’intervento dei tre principi suddetti, dei ministri, dei direttori e dei consiglieri di Stato, che presero parte a quello del 30 maggio, tranne Filangieri che non vi fu invitato. In questo Consiglio si lessero i dispacci di Antonini, i quali fecero profonda impressione, soprattutto per le parole che chiudevano il secondo di essi: “Non sono chiamato a dare consigli, ma il real governo o ha ancora una forza bastante a repri-