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è un inferno, e quella giornata è forse la più memorabile della sua storia.

Si combatte alle porte, nelle vie, nelle piazze; si prendono d’assalto campanili, conventi, palazzi e barricate; per effetto del doppio bombardamento, che non ha tregua, si sviluppa il fuoco in molti punti della città; le milizie regie si battono con accanimento, pari all’accanimento disperato, con cui si battono garibaldini ed insorti. Da una parte e dall’altra si comprende esser quella l’ultima carta del gran giuoco. Cade ucciso il colonnello ungherese Tukery al ponte dell’Ammiraglio; Benedetto Cairoli e Giacinto Carini, feriti gravemente, son creduti morti; gli atti di valore e di temerità non si contano; la pugna è tremenda, perchè si fa a corpo a corpo, nelle vie anguste della città; Garibaldi è pari a sé stesso, e dopo trentasei ore di marcia e di combattimento, non mostra stanchezza. Ha il quartiere generale al palazzo Pretorio, nel cuore della città; con calma non umana provvede a tutto ed è certo della vittoria. Sono intorno a lui Crispi, segretario di Stato, che si occupa di organizzare il nuovo governo; Sirtori, Nullo, Manin, Dezza e Missori, che vanno e vengono, portando notizie e ordini. Al palazzo Reale sta il luogotenente immobile e imbarazzato, e con lui sta Maniscalco. Sulla piazza egli ha concentrate molte truppe, delle quali non sa che farsi. Gli avamposti occupano l’arcivescovato, e di là al palazzo Pretorio la distanza è poca cosa. Le notizie, che pervengono al Lanza, non sono liete, perchè nonostante la resistenza delle truppe e il bombardamento non interrotto, la rivoluzione non si dà per vinta, ma egli si mostra indifferente. Alle quattro, Cataldo ripiegando al palazzo Reale lascia sguarnita l’importante posizione dei Quattroventi, e con essa rimangono sguarnite le prigioni. Sbuca da queste una vera fiumana di malfattori, circa duemila, che vanno a rinforzare gl’insorti, dopo essersi impadroniti di quattro cannoni, abbandonati dalle truppe. La ritirata dai Quattroventi segna il primo disastro dei regi in Palermo. La sera di quel giorno, tutta la parte bassa della città è in balìa degl’insorti, tranne il palazzo delle finanze e il forte di Castellamare.


Lanza non sente il bisogno di tentare personalmente qualche cosa, e solo invia corrieri in varie direzioni per richiamare la