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I due eserciti, i quali si trovavano di fronte in Sicilia, erano tanto diversi l’uno dall’altro, non solo per numero, ma per lo spirito che li animava e per la causa che difendevano. Da una parte, l’ardimento più cieco, la temerità sino all’eroismo e una fede apostolica nella causa per cui combattevano, e alla quale, salpando da Quarto, i Mille avevano fatto sacrificio della propria vita. Dall’altra, un esercito numericamente grosso, ma senza ideali, senza capi, nè solida organizzazione e destinato a combattere solo per la causa del Re, il quale non era più Ferdinando II.

Da una parte un duce, creduto invitto dai suoi soldati e dai suoi nemici, circondato dalla leggenda e il cui nome ricordava, pur troppo, quella fatale ritirata di Velletri, che non fu una fuga, ma ne ebbe tutta l’apparenza: ritirata, che diè all’esercito napoletano il sentimento della propria impotenza a combattere un nemico, il quale non aveva paura della morte. Dall’altra parte, vecchi generali, brontoloni e scettici, i quali non si stimavano, anzi, con napoletano costume, si diffamavano l’un l’altro, apparendo peggiori di quel che realmente fossero e repugnavano dal fuoco, anzi dai perigli. La volontà di Garibaldi non si discuteva dai suoi militi, i quali, pur essendo un’accolta di uomini non tutti atti alle armi, o che nelle armi facevano le prime prove, consideravano la disciplina militare come una religione. Combattevano con la certezza di avere per sé il favore delle popolazioni di tutta l’Italia, e alle loro spalle il Piemonte, nonché le simpatie dei popoli liberi del mondo. I soldati napoletani erano certi del contrario.

Di qui i primi sgomenti e le prime incertezze del vecchio Lanza, e il rifiuto di prendere l’offensiva e di accettare quell’altro piano, che il 18 maggio, dopo la giornata di Calatafimi, gli andò a proporre il Nunziante; di qui il suo pensiero di concentrare ogni difesa a Messina, e poi le sue perplessità e le sue manovre sbagliate, e i malumori e gli equivoci tra lui e Salzano e gli urti fra Salzano e Marra, e le disubbidienze di Von-Mechel, che comandava il primo reggimento estero, e i contrasti fra costui e Del Bosco, e la contusione magna, accresciuta dal fatto che ufficiali superiori andavano e venivano da Napoli, con ordini e contrordini.