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gotenente nel non voler impegnare le colonne separate ad attaccare Garibaldi, fa accrescere la costui importanza in faccia ai siciliani„. Ed egli stesso, il direttore di polizia, era così convinto dell’imminente ruina, che mandò la famiglia a Napoli, affidandola alle cure del principe di Satriano, col quale mantenne in quei giorni un vivo carteggio. E la signora Maniscalco coi figliuoletti, dei quali il maggiore aveva cinque anni, prese alloggio in un appartamento alla riviera di Chiaja, che Filangieri aveva fatto fittare, e dove il vecchio generale andava a far visita all’atterrita signora, rassicurandola circa le cose di Palermo, nel tempo stesso che rassicurava Maniscalco che la sua famiglia era al sicuro in Napoli.


Al Lanza si era dato un piano circa il modo di ripartire le truppe e prendere animosamente l’offensiva; ma appena giunto, egli ebbe come prima notizia la ritirata del Landi da Calatafimi, e l’avanzarsi di Garibaldi. Trovò le autorità demoralizzate o atterrite; diffusa e radicata la convinzione, che oramai senza più mistero l’Inghilterra, la Francia e il Piemonte favorivano la rivoluzione. Nella notte egli vedeva illuminati i monti della Conca d’oro, soprattutto dalla parte di Gibilrossa e Misilmeri, ed erano i fuochi delle squadre, le quali, a giudicare da quei fuochi, apparivano tanto numerose. Le notÌ2iie più strane si avvicendavano: chi diceva che Garibaldi era alle porte, confortando l’asserzione con l’ordine del giorno pubblicato dopo Calatafìmi, e con la lettera a Rosolino Pilo. In tale condizione dello spirito pubblico, Lanza pubblicò, il 18, quello sbiadito e timido proclama, il quale prometteva, come già fece Filangieri nel 1849, un principe della real famiglia per luogotenente generale del Re: promessa che nessuno prese sul serio, anzi si ricordò che Ferdinando II non l’aveva mantenuta nel 1849, come si ricordò il celebre capitombolo nell’acqua piovana del nuovo luogotenente. La sera del 17 egli inviò il suo primo rapporto al Re sullo stato della Sicilia, quasi tutta insorta ed invasa da delirio rivoluzionario, ed aggiungeva queste gravi parole: “Palermo attende il momento opportuno per sollevarsi. Vi perdura lo stato d’assedio; la posizione è tristissima; tutti emigrano; strade deserte; comunicazioni interrotte; distrutti i telegrafi; senza notizie: insomma lo stato della città è allarmantissimo, perchè saputosi l’esito del combattimento di Calatafimi„. All’arrivo di