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steva agli urti dei pali e delle panche, adoperate come leve. Alcuni scesero in porteria e sbarrarono l’ingresso. Erano le 11, e ancora gli alunni, schiamazzando, cingevano d’assedio l’appartamento del rettore, cercando di romperne la porta, quando, con le lagrime agli occhi, giunse il vicerettore, un buon vecchio cui tutti volevano bene e, a mani giunte, li pregò di consegnargli le chiavi della porteria, perchè un battaglione di Svizzeri aveva circondato il collegio e gli zappatori stavano per sfondarne la porta. Era vero e si udivano già i primi colpi. Consegnate le chiavi, i giovani tornarono nelle rispettive camerate. Entrarono gli Svizzeri, ma in atteggiamento benigno. In porteria s’insediò il commissario del quartiere, Capasse, che arrestò venticinque alunni e li chiuse nel vicino carcere di Sant’Aniello, affidato alla custodia del padre Cutinelli e del padre Planes, gesuiti. Furono tra gli arrestati gli alunni Ursini, Di Monte, Ria, Fiorito, Lobello, Antonelli, Pugliatti, Severino, Rossi, Zanello, Sollazzo, Libroia, Nicoletti, De Lellis e Casciuolo.

La mattina il Collegio era occupato militarmente. Dopo la messa, i giovani furono chiamati nella sala dell’accademia, una gran sala, coi banchi disposti ad anfiteatro e destinata alle lezioni d’anatomia. Vi trovarono il generale Lanza in grande uniforme e il direttore Scorza, che raccomandarono la calma. Lanza parlò in gergo, com’egli soleva, e fu bonario. Caruso assisteva, ma non disse verbo. Aveva la mano fasciata da una benda nera, poiché s’era fatto salassare dalla paura.

Dopo pochi giorni, assunse le funzioni di rettore il sacerdote Scacchi, che era stato vicerettore ed allora dirigeva il conservatorio di San Pietro a Maiella; fu poi nominato rettore il canonico Lamberti, parroco di Sant’Anna di Palazzo, che vi restò sino alla rivoluzione, quando quell’ufficio fu secolarizzato e venne conferito a Cammillo de Meis, reduce dall’esilio. De Meis fu l’ultimo rettore del Collegio medico, travolto anch’esso nelle rovine dei vecchi ordini. Vivaio di medici e di chirurgi valorosi, non di ciarlatani, più o meno fortunati, il Collegio medico era a Napoli popolare. Anche oggi si ricordano quei giovani, vestiti di bleu in inverno e di verde bottiglia in estate, col cappello a punta, tutto nero e i gigli borbonici ricamati sull’alto bavero dell’uniforme. La prigionia dei giovani non durò più di tre mesi e non vi fu processo. Durante la pri-