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non aspettò, ripeto, gl’invocati rinforzi, e nelle prime ore della sera si mise in marcia di ritirata.

Se il risultato vero di quello scontro fu, come azione militare, che i garibaldini e i regi conservarono le proprie posizioni, moralmente fu un disastro. Calatafimi apri le porte di Palermo alla rivoluzione. La ritirata del Landi fu la prima debacle, alla quale tennero dietro tutte le altre; fu l’inizio di quella profonda demoralizzazione, per cui si capitolò a Palermo con una guarnigione di ventimila uomini e si perdette la Sicilia. Sul capo del Landi si addensarono tremende accuse: si affermò che si fossa venduto a Garibaldi mercè una polizza di quattordicimila ducati; e la sua morte, che si disse improvvisa, accrebbe i sospetti infamanti e questi mutò in certezza, più tardi, il principe di Castelcicala. Il Landi apri la serie dei generali bollati traditori, prima in Sicilia e poi nel continente. Morì nel 1862, dopo alcuni giorni di malattia, e non già, come dissero gli scrittori borbonici, improvvisamente, e di dolore, dopo che, avendo mandato al Banco a riscuotere i quattordicimila ducati, sentì rispondersi che ne era stata alterata la somma! Uno dei figliuoli scrisse a Garibaldi invocando la sua testimonianza, e Garibaldi lealmente smenti l’accusa.1 Certo fu grave errore aver dato al Landi il comando di maggiore responsabilità, potendosi prevedere che la sua colonna avrebbe con maggiore probabilità affrontato il primo urto di Garibaldi; più grave errore d’averglielo dato nelle condizioni riferito; e massimo errore aver richiamato Letizia da Trapani, come fu colpa inescusabile e inesplicabile non aver fatto arrivare in tempo a Marsala i battaglioni chiesti dopo lo sbarco dei Mille. Occorreva un solo governo, e ve n’erano due: a Napoli e a Palermo; occorreva un sol uomo a comandare, ed erano in tanti, sospettosi e gelosi l’uno dell’altro; occorrevano generali pieni di fede e desiderosi di battersi, e un Re amato e temuto, mentre Francesco II non era nè quello, nè questo; e dei generali, ciascuno cer-

  1. I figli del generale Landi, che servirono nell’esercito italiano, furono cinque. Antonio venne collocato a riposo nel 1895, col grado di tenente generale; Michele e Niccola pervennero al grado di tenente colonnello; Luigi a quello di capitano, e Francesco mori giovanissimo, tenente di fanteria. I primi quattro presero parte alla campagna del 1866, e due son vivi. Essi conservano la risposta di Garibaldi, fatta pubblicare in un giornale di Napoli.