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si vide una fiammella alla seconda finestra della camerata degli antepratici messa fuori dall’Ursini. Era il segnale convenuto, cui rispose altra fiammella dall’ultima finestra della camerata dei fisici, al secondo piano. Si era stabilito di gridare: abbasso Caruso, fuori Caruso, e cacciarlo dal refettorio: il resto veniva da sè. A due ore di notte, l’ora della cena, scesero tranquillamente gli alunni in refettorio, meno i chirurgi, timorosi di compromettere la laurea medica. I più esaltati portavano di nascosto i ferri anatomici. Recitato il benedicite, mentre l’alunno di turno, salito sul piccolo pergamo, cominciava a leggere un trattato di anatomia (quella sera la lettura era sul terzo paio di nervi), dai banchi dei pratici, addossati al muro, a sinistra della grande porta, si udì il primo grido: abbasso Caruso. Il rettore corse verso il luogo, donde era partita la voce, ma alle sue spalle le grida si moltiplicarono e il fracasso divenne infernale: trecento gole urlavano e trecento braccia battevano con forza i coltelli sui vassoi in segno di minaccia.

Caruso, da principio, non ebbe paura, anzi credè poter domare la tempesta. Difatti non si mosse. Le grida si udivano dalla strada Costantinopoli e da Forìa, e la notizia di una rivolta al Collegio medico si diffuse, in breve, nel vicinato. Il Caruso, pallido e ansante, visto che non riusciva a ristabilire l’ordine, decise ritirarsi, ma prima si arrestò sui gradini della porta piccola e di là, con lo sguardo fisso sui dimostranti, con le mani nelle ampie tasche della zimarra, ruppe in parole di minaccia, ordinando al lettore con tutta la sua voce di riprendere la lettura. Fu la più imprudente delle provocazioni, perchè i giovani, perduta la testa, cominciarono a scaraventare contro di lui piatti, bicchieri, bottiglie e quanto era sopra le tavole. Quella sera si servivano a cena le triglie fritte, e anche queste volarono contro il rettore. Non c’era tempo da perdere. Il prefetto Guadagno, inviso anche lui, aprì la porta, ne cacciò fuori il Caruso e ne prese il posto, mentre questi mandò ad avvisare la polizia.


Uscito il rettore dal refettorio, continuò il baccano. Vennero svelte le lunghe e massiccie panche di quercia e i ferri dei lumi; e armati di panche e di ferri, i giovani corsero al corridoio del secondo piano, che precedeva l’appartamento del rettore. Egli vi si era asserragliato; la porta, ben solida, resi-