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rono mai a quest’atto servile e furono: il Manfrè, medico del principe don Luigi e nemico implacabile del rettore, il De Renzis, don Salvatore de Renzi e il Perrone, al quale il Caruso fece un giorno una solenne ramanzina alla presenza dei suoi alunni. Caruso spingeva il rigorismo ai peggiori eccessi. Egli non solo vigilava le azioni, ma si studiava d’intuire i pensieri dei giovani, e guai se li scopriva men che ortodossi, in religione e in politica. I prefetti, poveri e piccoli preti di provincia, pagati a sei ducati il mese, gli riferivano tutto, e le punizioni che andavano dai rimproveri al piatto capovolto, dal carcere lieve al penale e dall’espulsione alla consegna alla polizia, fioccavano senza pietà. La sorveglianza, cke egli esercitava e faceva esercitare sugli alunni, era divenuta insopportabile. Compariva all’improvviso nelle camerate, e se trovava da ridire su qualche cosa, non risparmiava ingiurie e schiaffi, e spesso incolpava gli alunni di mancanze immaginarie.
Morto Ferdinando II e caduto il Murena, gli alunni deliberarono di ricorrere al nuovo Re e inviarono parecchie suppliche a lui e al direttore Scorza. Si disse che l’alunno Tommaso de Amicis di Alfedena, venuto poi in fama nella professione sua, scrivesse il ricorso al Re; l’alunno Francesco Colucci di Bari, che fu più tardi garibaldino e giornalista, ne scrisse un altro allo stesso Scorza, ma non se ne vide effetto. E fu allora che si deliberò d’insorgere. I tempi erano un po’ mutati, e le notizie della guerra d’Italia accendevano le teste. L’insurrezione fu organizzata dagli antepratici e dai fisici che si misero, durante la messa, in relazione con le altre camerate, mercè forti mance ai servi, e fu diretta, oltre che dal De Amicis e dal Colucci, dagli alunni Fedele Ranieri, calabrese, Alfonso Guarino, napoletano, Pietro de Caro di Benevento, Enrico de Renzi, figliuolo del professore, e Giovanni Antonelli: erano anche nella cospirazione gli alunni Di Monte, Ursini, Ria, Fiorito e Lobello. Doveva aver luogo la sera della festa di San Luigi, che ricorre il 21 giugno: festa, per la quale il rettore aveva domandata ad ogni giovane una piastra di contributo, volendo celebrarla più solennemente che negli altri anni, ma a quella tassa gli alunni si erano rifiutati. La resistenza insolita aveva reso furioso il Caruso e moltiplicate le punizioni.
Venne dunque la sera del 21 giugno. A un’ora di notte,