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in pace per dodici giorni, un uomo che poteva morire da un momento all’altro, senza tentare ogni mezzo per strappargli delle rivelazioni, che non si può respingere il dubbio, che l’interrogatorio, registrato ufficialmente dall’autorità giudiziaria il 17 aprile, fosse la conferma di precedenti confidenze, strappate da Maniscalco, recatosi più volte ad interrogare il Riso all’ospedale.
Per fare una maggior luce su questo disgraziato incidente, io volli, dunque, interrogare Io stesso don Calogero Chiarenza, che assistette il Riso con un affetto e un coraggio veramente esemplari. Il Chiarenza, che ha settantasette anni, ritiene che il Riso non avesse fatto al Maniscalco delle esplicite dichiarazioni nelle varie volte che questi andò all’ospedale, ma suppone, con forti dubbi, che, abbindolato dal direttore di polizia, il quale gli lasciò sperare la vita del padre, uscisse in qualche rivelazione. E qui sarà bene riferire le parole stesse, contenute nella preziosa lettera del Chiarenza, che porta la data del 31 luglio del 1898. “Un giorno, che non posso precisare — sono sue parole — Francesco Riso fecemi segno di volermi parlare; l’avvicinai, e senza precauzione mi domandò cosa sapessi di sua padre. Io non gli risposi, perchè eravi una guardia di polizia seduta rimpetto al letto dell’ammalato; lui capì, ma io, volendolo veramente informare, mi riserbai di farlo per la notte seguente. Mi provvidi del Giornale di Sicilia, che riferiva i nomi dei tredici fucilati. Come cappellano assistente ai moribondi, essendo ogni notte di guardia, e potendo nel percorrere le infermerie avvicinare gli ammalati, per i conforti religiosi, vidi che la guardia di polizia, di piantone al letto di Riso, dormiva e russava; mi accostai al letto, e con tutta precauzione, al lume di un piccolo fanale ad olio, che noi cappellani assistenti portavamo di notte per le infermerie, avvicinatomi al letto di Riso, gli mostrai il giornale, e gli feci leggere i nomi delle tredici vittime. Quando giunse al nome del padre suo, che era il sesto o il settimo fra gli annotati, si sbigottì, non potè proferir parola, prese il lenzuolo fra i denti, e dopo alcuni istanti, mi chiese risolutamente se si potesse avere una pistola, perchè avutala avrebbe chiamato Maniscalco, fingendo volergli parlare, e quando se ne fosse andato, nel voltare le spalle, avrebbegli sparato come un cane: lo giuro sull’ara dell’onore e della verità, mi disse. La pistola dopo