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giorno — scrive il Chiarenza — venne trasportato all’ospedale, accompagnato da soldati e da gendarmi, Francesco Riso. Si vedeva un uomo elegantemente vestito, con gli occhi chiusi, che di tanto in tanto li apriva, e saettavano, guardando i cu riosi che gli stavano intomo. La bocca era chiusa, né io gli sentii proferire un minimo lamento: stava muto come una statua. Questa scena avveniva avanti il portone dell’ospedale, dove si trovava il cavaliere Salesio Balsano, amministratore del pio luogo. Questi ordinò che il ferito fosse trasportato nell’infermeria dalle persone addette al servizio dell’ospedale. L’uomo, che guidava il carretto, e i soldati che l’accompa gnavano, tornarono indietro. Riso fu trasportato sopra una barella nell’infermeria, al secondo piano; adagiato sopra un letto, venne subito interrogato, com’è di uso, dall’infermiere maggiore, Antonino Gallo. Prima domanda: Come vi chiamate? - Risposta: Francesco Riso di Giovanni. — Seconda domanda: Quanti anni avete? - Risposta: Ventott’anni circa. — Terza domanda: Che mestiere o professione esercitate? - Risposta con voce vibrata: Congiurato. — L’infermiere qui gli disse: Dovete rispondere alle mie domande. - E lui: Cospiratore per l’unità d’Italia con Vittorio Emanuele. — L’infermiere rispose: Noi conosciamo per nostro Re Francesco II„. Ad altre domande, chiusi gli occhi, non rispose più„.
Fermiamoci un po’ sulle une e sulle altre. In questa prima deposizione Riso dà prova di eroismo, e così pure in quella del giorno 5, innanzi al giudice. La seconda, quella del 17, è veramente deplorabile. Egli riferisce tutto ciò che sapeva, con nomi, cognomi e particolari. Se per giustificarla in qualche maniera, si potrebbe osservare che gli arresti del Pignatelli, del Lanza e dei loro amici erano già avvenuti, non puossi però non notare, che altre misure di rigore furono prese dopo quelle rivelazioni. Che i giovani signori, tratti in arresto, fossero ben noti alla polizia, basterebbe a dimostrarlo la nota di Castelcicala al governo di Napoli, relativa alla partenza da Palermo del Benza, con l’annotazione: S. M. resta inteso ed ordina che si sorveglino rigorosamente; ma non è men vero ch’essi erano sub iudice, benché prove dirette non si avessero contro di loro. Quelle prove non sorsero che dalle affermazioni del Riso. D’altra parte è così inverosimile il fatto che la polizia, quella polizia, avesse lasciato