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amici. Ve l’accompagnarono sua sorella, la contessa Tasca d’Almerita, coi suoi quattro figliuoli, fra i quali era il giovinetto Giuseppe, ora deputato al Parlamento. A bordo del clypper, che si chiamava Taconnay, era il proprietario e armatore ad un tempo, nè costui, nè l’equipaggio parlavano altra lingua che l’inglese. L’arresto avvenne in circostanze curiose. Il Ottavio Lanza leggeva nel salotto del clypper, quando si avvicinarono al bastimento tre barche con ufficiali e guardie di polizia, chiedendo di salire a bordo. Il proprietario permise che salissero due persone solamente. Una di esse era l’ispettore Puntillo, il quale, entrato nel salotto e visto il Lanza, lo avvicinò, e senza malgarbo gli disse che aveva ordine di arrestarlo e mostrò l’ordine firmato da Maniscalco. Il proprietario e l’equipaggio, informati dalla giovane contessina Tasca, ora principessa di Scalea, che parlava bene l’inglese, del motivo per cui quei due erano saliti a bordo, intendevano fare opposizione anche con la forza. Il padrone dichiarava che, essendo il legno di nazionalità americana, nessuno aveva il diritto di fare arresti a bordo; ma il Puntillo mostrò un foglio del console americano, il quale autorizzava la visita e l’arresto. Il padre Ottavio, che conservò una grande serenità di spirito, pregò i parenti e l’equipaggio di non fare inutili opposizioni, e disse al Puntillo che era pronto a seguirlo. Fu fatto scendere in una delle barche della polizia, accompagnato dal pianto dei parenti e dalle invettive degli americani contro il governo borbonico. Venne condotto alle grandi prigioni, e poi al forte di Castellamare, dov’erano i suoi amici. Gioverà forse sapere che gli americani e gl’inglesi, residenti a Palermo, saputo l’atto inesplicabile del console americano Baston, ne fecero solenne protesta al governo degli Stati Uniti, che mandò un bastimento da guerra per fare un’inchiesta, dopo la quale il console venne rimosso e poi destinato altrove.
I nobili arrestati erano sette, non tutti quelli indicati dal Riso, ma solo quelli, che credettero dover loro rimanere a Palermo nel momento del pericolo, cioè il padre Ottavio Lanza, Antonio Pignatelli, Corrado Niscemi, Giovanni Riso, il principe di Giardinelli, Gabriele Cesarò e Giovanni Notarbartolo, fratello del povero Emmanuele, che aveva preso volontario servizio nell’esercito sardo. Non è credibile l’impressione che produssero