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Essi ignoravano ciò che era seguito fra il guardiano e il Riso, né il guardiano sospettò mai che il magazzino appigionato al Riso nel vicolo del Soccorso, e allora detto pannuzza della Gancia, dovesse servire ad altri usi, e che insieme alla calce e ai doccioni vi fossero nascosti fucili, bombe e cartucce. L’innocenza loro risultò dal processo, mentre il tradimento non risultò da nessuna testimonianza seria, non potendosi dir tale l’asserzione del De Sivo, che il frate Michele da Sant’Antonio rivelasse il giorno prima a Maniscalco quanto si tramava nel convento. La rivolta del 4 aprile fini con la tragedia dei tredici fucilati e il martirio di Giovanni e Francesco Riso.


Palermo col suo distretto venne posta in istato d’assedio, accentrandosi i poteri nell’autorità militare, rappresentata dal maresciallo Salzano, comandante la prima divisione del corpo di esercito e della provincia e piazza di Palermo. Questi rimise in vigore le ordinanze di Filangieri per i detentori d’arme e i ribelli, coi relativi consigli di guerra, ed insieme a Maniscalco telegrafò a Napoli, atteggiandosi entrambi a trionfatori e ne ebbero lode, com’è naturale. Invocavano un esempio, ed era questo, che i ribelli fatti prigionieri con le armi alla mano e che certo sarebbero stati condannati a morte dal Consiglio di guerra, fossero fucilati al più presto. Erano tredici, e fra essi, il padre di Francesco Riso, estraneo all’azione e forse anche alla cospirazione, e infermo in casa sua quando venne arrestato. Il governo perdette i lumi addirittura, e coi lumi, la coscienza. Furono quei tredici, senza ombra di difesa, condannati a morte e fucilati con procedura infame, dieci giorni dopo la tentata rivolta. Fu cosi orribile l’impressione di quell’eccidio, che i soliti zelanti dissero che il Re volesse graziarli, e ne fosse stato dissuaso dal principe di Cassare. Che quel vecchio, rigoroso reazionario, fosse persuaso della necessità dell’esempio e con lui tutti gii altri ministri, è ben verosimile; ma che del preteso ordine di sospendere le fucilazioni mandato da Napoli, Castelcicala, Salzano e Maniscalco non avessero tenuto conto, è una bugia, perchè la sera del 5 aprile Castelcicala tornò a Palermo; e per quanto mezzo esautorato innanzi al governo, non si sarebbe mai prestato al giuoco.

Il Bracci, nel libro altre volte citato, afferma che il principe di Cassaro riconosceva con Castelcicala e Comitini la necessità