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costruendo chiese, sciogliendo voti e coprendosi di amuleti, non si puntellava un trono pericolante. Assunto al governo, credeva di poter rinnovare tutta la compagine dello Stato, ma per riuscire gli mancavano due condizioni essenziali: la fiducia del principe e compagni di governo, capaci d’intenderlo e di secondarlo lealmente. Questi compagni, tranne il Casella e il Rosica, non erano di sua fiducia; non poteva tollerare Ajossa, ma gli fu giuocoforza tollerarlo. Parecchi, tra i quali l’Ischitella, gli fecero più tardi rimprovero di aver accettato il governo in quelle condizioni.1 Nonostante, avrebbe forse superato tutte queste difficoltà, se avesse avuto vent’anni di meno, ma nè lui, nè altri poteva superarle nelle condizioni che ho descritte, e fu vittima del suo ideale, quello di conciliare le esigenze dei nuovi tempi con la dinastia dei Borboni.

Filangieri si mise all’opera con molta fede e buona volontà. Come primo atto mandò via il Cassisi da ministro di Sicilia a Napoli e lo sostituì con Paolo Cumbo, a lui devoto; tolse allo Spaccaforno la direzione dell’interno e lo sostituì con don Michele Celesti, al quale era rimasto affezionato; ne ci volle poco per indurre il Re a consentire ai decreti su riferiti, e particolarmente a quello circa gli attendibili. Alcune sue ordinanze, per l’umile argomento cui si riferivano, provocarono commenti umoristici; ma altre furono consigliate, come quelle intese a rendere meno orribili le prigioni, da doveri di cristiana carità.

Non era quanto si aspettava, ma il presidente dei ministri non aveva le mani libere, nè poteva fare assegnamento sull’iniziativa, o almeno sopra un intelligente concorso dei suoi compagni di governo, ne credeva prudente allarmare troppo il timido Re e la Corte sospettosa, la quale non aveva fiducia in lui e lo rivelava senza mistero.

Rivolse le sue cure all’esercito, rimasto con lo stesso ordinamento datogli da lui nei primi anni di Ferdinando II. Aspirava a farne un esercito di combattimento, all’altezza delle milizie moderne, non un istrumento di regno, come aveva fatto il defunto Re. Capiva quanto fosse necessario rilevare politicamente il Regno di fronte all’estero, tornare in buoni rapporti con la Francia e l’Inghilterra, soprattutto con la Francia, ed entrare in accordi col Piemonte, nell’interesse dei due maggiori Stati

  1. Mèmoires et souvenirs de ma vie, — Paris, 15 mars 1864.