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Il Comitato operava con la più raffinata astuzia. È ben difficile vincere il siciliano in fatto di scaltrezza, poiché la tendenza a procedere per vie tortuose e coperte è piuttosto generale nella razza, anche quando non si tratti di cospirare. Maniscalco era siciliano anche lui, e però si giuocava di scaltrezza da una parte e dall’altra, sì da dare origine a una ricca messe di aneddoti esilaranti. Il fatto vero è questo, che Maniscalco non trovava più spie fuori degli agenti in divisa; nè dopo il 4 aprile ne trovò fuori di quei comici e disprezzati agenti in borghese, detti taschettari dal tasco, che loro aveva messo sul capo. Ne sapevano, insomma, più gli estranei alla polizia, che la polizia stessa. Francesco Riso, il quale aveva avuto pieni poteri, mal pativa gl’indugi, affermando che tutto era pronto per insorgere, tanto che le sue impazienze parvero sospette; e Pisani, juniore, elevando qualche dubbio circa il modo onde il Riso spendeva il danaro del Comitato, propose una specie d’inchiesta, che il Comitato affidò a lui stesso. L’inchiesta constatò infatti che Riso aveva agito con qualche leggerezza, facendo costruire un gran numero di lancie inservibili, e cucir giubbe e berretti di velluto nero con nastri tricolori: berretti e giubbe quasi inutili; mentre nè tutti i fucili erano pronti, nè montato l’unico cannone in legno, di cui Chentrens aveva eseguito i vari pezzi. Di effettivo non vi erano che settanta fucili e cento bombe all’Orsini! Il disegno e le dimensioni del cannone le aveva fornite lo stesso Pisani, ricavandole da una Guida per le guerriglie nella guerra di montagna. Esso era formato da doghe di legno duro, tenute insieme da forti cerchi di ferro. Poteva ben tirare parecchi colpi, prima di scoppiare, e non aveva nulla di comune con quella parodia di cannone, che è un semplice tronco di legno mal bucato e che si conserva nel Museo di Palermo.

L’inchiesta fatta dal Pisani non fu dunque confortante. Riso non parve l’uomo che si era creduto; ebbe qualche ammonimento, e com’è naturale, mal tollerò i dubbi sollevati sulla sua opera, non perdonò al Pisani juniore la parte spiegata contro di lui, e stette ad aspettare che il Comitato stabilisse il giorno per insorgere. Gli eccitamenti si avvicendavano con gli scoramenti. Un giorno Antonio Pignatelli lesse ai suoi amici una lettera del D’Ondes Reggio, il quale, mostrando di scrivere in nome del governo piemontese, dichiarava che questo non po-