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una metteva capo a Malta, a Mazzini, a Crispi e a Rosolino Pilo, e incuorava a rompere gl’indugi e ad insorgere a qualunque costo, pur d’insorgere, in nome dell’unità nazionale. Una lettera di Mazzini, del 2 marzo 1860, diretta agli amici di Palermo e di Messina, suggeriva di non badare a forme di governo, nè ai consigli di moderazione, che venivano da Torino e da Firenze, ma di osare: “Osate, perdio! diceva, sarete seguiti; ma osate in nome dell’Unità Nazionale: è condizione sine qua non„.
Già Francesco Crispi, nell’agosto del 1859, era andato a Palermo, dopo essere stato a Messina e a Catania; e vi era andato sotto il nome di Manuel Pareda, con un passaporto procuratogli da Mazzini. I particolari del viaggio sono narrati da lui stesso, nel suo Diario. A Palermo conferi con pochi amici, ai quali lasciò una forma, in creta, di bombe all’Orsini. Il consiglio di Crispi di fabbricare queste bombe, che si sarebbero dovute gettare tra i soldati nelle caserme e negli uffici pubblici, fu accolto, ma senza costrutto. Crispi avrebbe voluto che s’insorgesse il 4 ottobre, onomastico del Re, gettando quelle bombe fra la truppa, mentre tornava dalla rivista militare. La truppa si sarebbe allora sbandata dalla paura e le squadre sarebbero entrate in città. Egli prometteva, a nome di Mazzini, la venuta di Garibaldi e altri aiuti.
L’altra influenza metteva capo a Torino e a Genova, ed era rappresentata dagli esuli di maggior conto, e principalmente da Giuseppe La Farina, divenuto l’anima della Società Nazionale e intimo di Cavour. Erano di accordo col La Farina, fra gli altri, Michele ed Emerico Amari, il marchese di Torrearsa, Filippo Cordova, Mariano Stabile, Matteo Raeli, Vincenzo Errante, Vito d'Ondes Reggio. La Società Nazionale voleva evitare nell’Isola qualunque movimento, che non avesse per fine l’unione col Piemonte; schivare qualunque pericolo d’inframmettenze mazziniane, le quali erano a temere, e avrebbero potuto compromettere la riuscita dell’impresa; preparare l’insurrezione, facendovi partecipare tutti gli ordini sociali, e insorgere al momento opportuno, quando cioè fosse data al Piemonte l’occasione di un aiuto efficace, che salvasse le apparenze. Cosi appunto consigliava Cavour. Questi a tal fine mandò, nel febbraio del 1860, a Palermo Enrico Benza, lo stesso che poi fu, per poco tempo, segretario particolare di Vittorio Emanuele e nel 1862 console a