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zione per la Madonna della Lettera, patrona della città, e per l’Assunta, superava forse quella di Palermo per Santa Rosalia e di Catania per Sant’Agata. E più radicata v’era la tradizione del soprannaturale, poichè davvero la Madonna, che, dall’opposta riva di Reggio, scrive ai messinesi una lettera in lingua ebraica, da San Paolo tradotta in greco e da Lascari in latino, e comincianto con le parole: vos omnes fide magna, e ne affida il recapito a San Paolo stesso, varca di molto i limiti anclie del miracoloso. Le processioni vi erano frequenti, lunghe e solenni, e vi solevano parte cipare gentiluomini recanti ceri accesi, uniti alla folla e alle numerose congreghe; ne mancavano poi magnifiche luminarie e fuochi pirotecnici sul mare, come in tutta la Sicilia. Questa fede religiosa, che si nutriva di pompe esteriori, non era, bisogna riconoscerlo, senza radice vera nelle coscienze dei messinesi. La donna, popolana, borghese o patrizia, era madre esemplare, figliuola devota e quasi sempre moglie fedele ed onesta. La mafia, che in Palermo e in altre parti dell’Isola aveva diffusione quasi in ogni ordine sociale, era poco diffusa a Messina, dove si è anche oggi più sinceri, più espansivi e meno violenti. Benché gelosi, come tutti gì’ isolani, nei messinesi la gelosia appariva meno. Nei teatri, nei passeggi pubblici, nei balli, le abitudini, borghesi od aristocratiche, erano affatto continentali. Non accadeva di vedere, come in altre città della Sicilia, entrando in una sala da ballo, gli uomini da una parte e le signore dall’altra. E ciò perchè, come ho detto, i contatti con gli stranieri avevano cancellato quasi interamente il ricordo de’ vecchi costumi, e soppresse le forme esteriori d’una gelosia tanto più ridicola, quanto meno acconcia a serbare la fedeltà coniugale. Messina si affermava sempre sorella primogenita di Catania, e se riconosceva la superiorità di Palermo, la subiva di mala voglia.
Fu sindaco in quel tempo il marchese di Cassibile, ricco ma strano signore, che tentò più tardi la deputazione e non vi riusci mai. Egli fu sostituito dal barone Felice Silipigni, che tanto si distinse nella tremenda epidemia colerica del 1854, e lasciò buon nome e raccolse grandi lodi dal generale Filangieri, il quale, in occasione del colera, si recò personalmente a Messina a distribuire soccorsi e a rincuorare la cittadinanza, atterrita forse più che a Palermo.