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manomettono la giustizia e alimentano il malcontento„. E in altra del 10 novembre: “La magistratura disserve e non serve il governo, ed una delle fatalità del paese sta nella mala amministrazione della giustizia civile e penale„. E concludeva: “I tempi sono tristi, e non vedo ancora un raggio di speranza per uscire da tanti guai„. Il 21, scrive, più caratteristicamente: “La nobiltà palermitana mi onora del suo odio, per averla io calpestata, quando pensò di agitarsi: io mi rido di questa malvoglienza e di questi odii„. E in data del 29 dicembre, facendogli gli auguri per il nuovo anno, gli dice: “La mia salute risente ancora le conseguenze dell’attentato; il paese è materialmente in calma; i tristi si preparano ad una lotta, se ad essi verrà un ausilio dallo straniero. Noi li aspettiamo a piè fermo„. Per lui lo straniero era il Piemonte, e Garibaldi per esso, il cui nome ricorre più volte in questo epistolario, perchè Maniscalco si può dire intuisse ciò che avvenne pochi mesi dopo. Difatti, in una lettera degli 11 febbraio 1860, lunga e sempre tutta di suo pugno, scriveva: “Le vostre apprensioni sulle condizioni perigliose, nelle quali si trova la Sicilia, sono divise da me e da quanti sono attaccati alla causa dell’ordine. Io non temo un’insurrezione, ma temo d’uno sbarco di emigrati. Gli agitatori sanno che non si possono misurare colle forze del governo, e contano sull’ausilio straniero. La mala contentezza si fa sempreppiù maggiore e tutti credono l’autorità perduta. Dio salvi il Re ed il Regno e dia forza a noi per scongiurare i pericoli, che minacciano la quiete del Reame„ . E sette giorni dopo scriveva: “Palermo è agitata, ed io temo che fra non guari verremo alle mani con una gioventù dissennata. Il sangue ricada sul capo di coloro che provocheranno la lotta„. E alla fine di febbraio: “Lo spirito fazioso imperversa in Palermo, e si manifesteranno sintomi gravi. Io sono apparecchiato a tutto, e ricorrerò alle ultime estremità„. E il 13 marzo, con spirito profetico: “Qui v’è una certa calma, ma calma aspettante. La febbre politica ferve, e gli animi sono disposti ad un movimento. Nessun effetto hanno prodotto le ultime sovrane largizioni in Palermo„. Dieci giorni prima del tentativo della Gancia, scriveva: “Il paese sta sulle bragi e si fanno sforzi sovrumani per contenere i rivoluzionari. La rivoluzione di Sicilia è aspettata in Italia. Dio ci aiuterà ed il nostro buon Re, il cui senno è superiore alla età Sua, saprà scongiurare la procella„.