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Starrabba di Eudini. Ella sposò nell’ottobre del 1859 il conte di Caltanissetta, primogenito del principe di Paternò, e benchè il matrimonio di lei non avesse tutta la pompa, che circondò le nozze di sua sorella maggiore, Caterina, la quale, due anni innanzi, aveva sposato Federico Gravina di Montevago, grande di Spagna e noto col vezzeggiativo di Fifì, nondimeno se ne parlò molto per alcuni aneddoti esilaranti. Si ricordava che al padre di Fifì furono rivolte una sera dalla principessa di Radaly, che lo sorprese nel suo giardino, mentre compiva un’operazione molto .... prosaica, queste argutissime parole: “Je savais que les grands d’Espagne pouvaient se couvrir, pas se découvrir!„ Ma l’aneddoto principale del matrimonio della Stefanina fu invece quest’altro. Il principe di Paternò, padre dello sposo, era uno dei tipi più bizzarri del patriziato siciliano. Il matrimonio fu compiuto nella villa Rudinì all’Olivuzza, quella stessa che nel settembre del 1866 gli autori dei famosi tumulti incendiarono, e che il municipio di Palermo indennizzò al marchese Di Rudinì, allora sindaco. Accostandosi l’ora della cerimonia, il principe non si vedeva comparire. E il figliuolo, non senza preoccupazione, corse a casa e trovò che il padre dormiva della grossa, avendo tutto dimenticato. Si vestì allora in furia e comparve alle nozze con pantaloni color pisello, panciotto giallo e giubba amaranto: una toilette fatta apposta per suscitare, come suscitò, la maggiore ilarità. Nè volle che la carrozza, la quale doveva portare gli sposi a Santa Flavia nella magnifica villa Paternò, fosse scortata dai compagni d’arme, come il bonario don Franco aveva ottenuto da Maniscalco; e poi quasi li sgridò, quando gli sposi si affacciarono al balcone della villa, per rispondere a una dimostrazione assai caratteristica da parte della gente che si affollava sulla strada. La sposa, a ventitre anni, era nel fiore della bellezza e lo sposo ne contava trentotto. Divenuto principe di Paternò dopo la morte del padre, Corrado Moncada fu nominato senatore del Regno d’Italia nel 1892 e mori a Napoli nel 1895, a settantaquattr’anni. Il presente deputato di Augusta, conte di Cammarata, è il suo secondo figliuolo.


Poche le botteghe di barbiere, chiamate come a Napoli, “saloni„. I migliori erano reputati quelli del Serù e del Messina al Toledo, sull’angolo di via Mezzani e presso il Duomo, e di Ba-