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più, e la cultura era forse meno varia di oggi, ma più solida, soprattutto la classica.
Ogni provincia aveva un centro speciale di cultura e un piccolo fuoco di liberalismo: Trani, Molfetta e Putignano per Bari; Manduria, patria di Niccola Schiavoni e dei maggiori condannati politici, per Lecce; Avellino e Cosenza per le proprie Provincie; Monteleone, Catanzaro e Reggio per le tre Calabrie, e della provincia di Chieti questo centro era Ripa Teatina, dove abitava una zia materna di Cammillo de Meis, donna Chiara Maria Cardone in Garofalo. Il fattore del De Meis, Gregorio di Labio, vi andava da Bucchianico nei giorni di mercato e portava le notizie del padrone ai pochissimi, che lo rammentavano senza paura. A Bomba invece nessuno avrebbe osato in pubblico chiedere notizie dei fratelli Spaventa, esule uno, ed ergastolano a Santo Stefano, l’altro.
La cultura politica era patrimonio di pochi ben privilegiati; le classi dirigenti ritenevano il resto d’Italia, da Roma in su, un paese straniero, non per la geografia e assai meno per la storia, ma per la distanza, che separava il Regno da Roma, dov’era il Papa; da Firenze, dov’era il Granduca; da Milano e da Venezia, dov’erano gli austriaci: austriaci. Papa e Granduca legati strettamente alla Corte di Napoli da vincoli di parentela, di religione e di politica, i quali vincoli stringevano ad un tempo le piccole Corti di Modena e di Parma a quelle di Vienna e di Napoli. Il Piemonte, che aspirava ad essere una grande potenza, andando a combattere in Crimea e discutendo la questione italiana nel Congresso di Parigi, teneva accesa la fede di quanti speravano tempi migliori; ma era piuttosto una fede religiosa che convinzione politica, tanto pareva inconcepibile quel che avvenne pochi anni dopo. Le classi dirigenti non erano al corrente delle notizie del giorno, e s’indicavano a dito quelli che ricevevano qualche giornale da Napoli. La grande maggioranza era rassegnata ad uno stato di cose, che sembrava non potesse migliorare e assai meno mutare.
Non si viaggiava che dai soli ricchi e la gran mèta del viaggio era Napoli, 'u casalone, considerata dai provinciali sede delle umane maraviglie. Tornando in provincia, non finivano di decantarne le bellezze. Persino i lazzaroni erano trovati spiritosi e