Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 108 — |
Erano feste magnifiche, che duravano più giorni, con bande, luminarie, globi areostatici, cuccagne, fuochi pirotecnici, spari di mortaletti, corse di cavalli e fiere. Nell’Abruzzo, le feste di Chieti erano le più rinomate, e nel 1855 fu affidato l’incarico di organizzarle al sindaco don Florindo Briganti, al primo eletto, don Giambattista Saraceni, e al segretario, tal don Vincenzo, soprannominato lu brutto. Alla vigilia della festa, si lessero per le cantonate della città questi versi:
Povero San Giustino! |
L’anno dopo, altri versi colpirono un barocco restauro del duomo, che il vescovo monsignor Saggese affidò a un mediocre pittore, tal Del Zoppo:
E il nostro San Giustino |
Oltre i licei con corsi universitari, dei quali si è parlato, vi erano collegi privati od appartenenti ad Ordini religiosi, come a Trani i Domenicani, e a Lecce i Teatini; senza contare i molti seminarli, quasi uno per diocesi, tra i quali di maggior reputazione erano quelli di Molfetta, di Conversano, di Matera, di Aquila, di Chieti e di Lanciano. Il seminario di Molfetta doveva il suo nome a una serie di buoni vescovi, al rettore Sergio de Judicibus, e ad un complesso di condizioni fortunate, per cui quella città era divenuta da mezzo secolo centro di cultura classica. In quegli anni i detti seminarli erano all’apice della celebrità, e basterà ricordare che, compiuta la rivoluzione, i migliori professori e i più valorosi giovani di quegl’istituti furono chiamati nell’insegnamento governativo nell’amministrazione scolastica, e altri onorarono più tardi le lettere, le scienze e la politica. Ricordo fra i miei compagni del seminario di Molfetta Giovanni Beltrani, Gaetano Semeraro, Giuseppe Panunzio e il mio carissimo Raffaele Basile, spirito